sabato 13 settembre 2014

Accumulazione per spoliazione senza espropriazione?*

di Miguel Mellino
Secondo Harvey, Marx “sbaglia” nel considerare “l’accumulazione fondata sulla predazione e la violenza fisica” (secondo modalità extra-economiche) come qualcosa di “originario”, ovvero di appartenente al passato o agli albori del capitalismo, “poiché i processi di accumulazione originaria sono stati una costante della geografia storica del capitale”. Dal suo punto di vista, dunque, è irragionevole definire dei processi economici tuttora in atto come “originari” o “primitivi”, ed è proprio per questo che egli propone l’idea di “accumulazione per spoliazione” al posto di “accumulazione originaria”
 
(…)
Riprendiamo ora la prima parte dell’enunciazione di Harvey in favore della sostituzione di “originaria” con “spoliazione” per qualificare “accumulazione”. Si può essere d’accordo con l’idea secondo cui l’aggettivo “originaria” risulta oramai poco efficace, a livello politico, per definire processi che sono stati una costante dell’espansione del capitale e che sono perennemente in atto. Tuttavia, prima di trarre conclusioni affrettate, dobbiamo chiederci: quali sono gli aspetti dei processi di “accumulazione originaria” che secondo Harvey sono stati una costante dell’espansione del capitale e che sono tornati al centro del comando capitalistico dal neoliberismo in poi? Come abbiamo anticipato, Harvey è molto chiaro su questo punto: la violenza, fisica ed economica, l’arbitrio, la predazione, la rendita, ovvero, ancora una volta, un qualcosa che egli ritiene “altro” dalla logica “produttiva” della “riproduzione allargata” del capitale. E’ in virtù di questo presupposto che “spoliazione” viene a rivelarsi per Harvey come un significante più efficace di “originaria”, non solo per nominare la logica “estrattiva” e “violenta” costante della riproduzione del capitale, ma soprattutto per indicare la ricostituzione di tale modalità come logica primaria dell’attuale comando capitalistico. Esempi contemporanei di “accumulazione per spoliazione” sono per Harvey le nuove “recinzioni” di “beni comuni” come l’acqua, l’elettricità, il gas, l’istruzione, la salute, l’edilizia popolare e la rete portate avanti dalle privatizzazioni, dai diritti di proprietà intellettuale e dai brevetti; la finanza e la sua progressiva intromissione nei bisogni della vita quotidiana (derivati, subprime, estensione generalizzata del sistema del credito/debito, privatizzazione dei fondi pensione, ecc.); la speculazione immobiliare e la conseguente gentifricazione di specifiche aree urbane (un processo che finisce spesso con l’espulsione di poveri e subalterni da questi territori), nonché la mercificazione delle forme culturali e della creatività intellettuale che da esse emergono; lo sviluppismo “estrattivista” in corso in alcune regioni dell’ex terzo mondo e dell’Europa dell’Est, legato allo sfruttamento da parte di corporation transnazionali di diverse risorse naturali (petrolio, gas, minerali, semi particolari come la soja) e al boom delle commodities nel mercato dell’agrobusiness.
Per quanto efficace nella descrizione del processo di divenire rendita del capitale, di questo nuovo movimento di “enclosures”, l’espressione “accumulazione per spoliazione”, come anticipato, sembra enfatizzare più i “mezzi” dell’accumulazione originaria che non quello che per Marx era il suo fine essenziale. E’ l’atto di separazione/espropriazione dei mezzi di produzione, di riduzione (o di assoggettamento) del lavoro vivo in forza lavoro, ciò di cui deve assicurarsi ogni giorno il capitale, ed è qui che risiede la sua violenza costante e costitutiva. Se, come sostiene Harvey, i processi di accumulazione originaria non sono qualcosa che appartiene unicamente al passato del capitale è proprio perché il capitale deve ripetere questa “separazione originaria” ogni giorno e attraverso ogni mezzo necessario. Questa violenza – l’addomesticamento o imbrigliamento della forza lavoro – è stato da sempre il motore stesso della sua espansione e riproduzione: tanto dentro come fuori il mondo della “riproduzione allargata”. Si tratta di una dimensione del discorso marxiano lasciata piuttosto in ombra dalla prospettiva di Harvey: e questa marginalizzazione finisce per indebolire alla base le potenzialità di “accumulazione per spoliazione” in quanto significante chiave per la comprensione delle dinamiche dell’attuale comando capitalistico.

Crediamo sia piuttosto difficile parlare della privatizzazione dell’istruzione, della rete e dei servizi pubblici; della speculazione immobiliare, della rendita finanziaria e di fenomeni come l’espulsione di gruppi e soggetti dai territori urbani legati ai fenomeni di gentrificazione, come dei “processi di “accumulazione originaria” senza inserire tale considerazione all’interno di un discorso più esplicito sul divenire “immateriale” della produzione e sul divenire della metropoli come luogo chiave della produzione biopolitica del capitalismo contemporaneo, ovvero senza un discorso sul ruolo dei saperi, dei linguaggi, della cooperazione e del comune come motori dell’attuale sistema produttivo. Harvey si tiene consapevolmente distante da questo discorso, e qualifica come “nebuloso” il concetto di moltitudine. Il problema è che senza questo ulteriore passaggio il concetto di “accumulazione per spoliazione” viene a trovarsi in una sorta di “terra di mezzo” teorica. Perché dovremo considerare la privatizzazione dell’istruzione e della rete, la finanza o gentrificazione urbana come nuovi processi di “accumulazione originaria” se non ci viene specificato che cosa questi processi separano/espropriano e per quale motivo? In che senso un capitale divenuto “rendita” è “estrattivo”? Solo perché ripete un atto violento? Ma in che cosa consiste quella violenza? Nel fatto che essa viene eseguita in modo arbitrario da un esercizio del potere divenuto più “coercitivo” e “repressivo” che egemonico? Ci sembrano punti su cui occorre ritornare.
Se abbiamo voluto mettere a fuoco alcuni problemi teorico-epistemologici intrinseci alla nozione di “accumulazione per spoliazione” è perché crediamo nelle sue potenzialità; consapevoli di una vecchia premessa althusseriana secondo cui ogni problema teorico è anche un problema politico.

*estratto da M. Mellino, David Harvey e l’accumulazione per espropriazione, www.euronomade.info