a cura di Tiziana Terranova
il futuro
del sindacalismo classico e delle nuove forme emergenti di solidarietà e
mutuo soccorso in relazione alle trasformazioni in atto dell’organizzazione del
lavoro, in cui quello ‘digitale’ è parte di un più “ampio sviluppo che include
processi di globalizzazione, anti-sindacalismo, deregolamentazione,
precarizzazione, la proletarizzazione delle professioni e molto ancora”. Il
lavoro digitalizzato sposta indietro le lancette dell’orologio “fino alla
seconda metà dell’Ottocento quando la settimana lavorativa di ottanta ore era
ancora la norma”
Tiziana Terranova: Trebor, in Italia come altrove immagino,
stiamo discutendo cosa sta succedendo a forme tradizionali di organizzazione
del lavoro come i sindacati e di nuove forme di sperimentazione che potremmo
definire di ‘sindacalismo sociale’. Ci interessa la relazione tra nuove forme
di sindacalizzazione e la loro relazione con lotte più ampie e meno definite.
Pensiamo per esempio alle lotte ambientali, a lotte informali nella città
attorno al precariato ecc, che confondono la relazione tra vita e lavoro. Tu
d’altro canto stai seguendo da vicino le trasformazioni del sindacalismo negli
Stati Uniti, ma anche l’impatto globale della riorganizzazione del lavoro
indotto dall’uso di Internet come infrastruttura lavorativa. Hai notato un
ritorno di sindacalismo in luoghi di lavoro in cui è stato tradizionalmente
molto difficile organizzarsi come l’industria del fast food o grandi magazzini
come Walmart. Ma quello che sembra preoccuparti di più, però, è la sfida di
organizzare quello che chiami lavoro digitale e in particolare il crowdsourcing
che hai ribattezzato crowdmilking (la mungitura delle folle). Qui ‘lavoratori
anonimi’ incontrano ‘datori di lavoro’ anonimi. Ci puoi parlare un po’ di
questo nuovo modo di organizzare la produzione e la sfida che pone alla
sindacalizzazione?
Trebor Scholz: Ciao Tiziana e grazie per il tuo invito a
parlare del futuro dei sindacati tradizionali e di nuove forme emergenti di
solidarietà e mutuo soccorso. Facciamoci una camminata nei campi del lavoro e
per non perderci, stabiliamo prima i termini. Voglio essere chiaro che sono concentrato
soprattutto sugli Stati Uniti e specialmente su quello che io chiamo il ‘lavoro
digitale’ e in questo vasto labirinto di pratiche diverse, discuterò dei
lavoratori più poveri e sfruttati nell’industria del crowdsourcing. Continuo ad
usare il termine lavoro in questo contesto sebbene sia problematico e
abbastanza difficile da definire. Voglio mantenere il linguaggio del lavoro
perché non voglio perdere la connessione con gente come la giovane femminista e
attivista del lavoro Karen Silkwood che perse la vita per svelare i segreti
sulle violazioni della sicurezza nella fabbrica di plutonio Kerr-McGee nel
1974. Magari ti ricordi del film Silkwood in cui Meryl Streep impersonava
questa coraggiosa attivista. O, pensa allo sciopero del tessile di Lawrence
Massachussets nel 1912, quando migliaia di operaie mandarono i figli a New York
City prima di iniziare questo sciopero militante con il sostegno del IWW. Le
rivolte di Haymarket, le enormi proteste contro le fabbriche a seguito
dell’incendio nelle fabbrica Triangle Shirtwaist… questa eredità si perde se
smettiamo di parlare di lavoro.
Nel pensare all’urgenza di organizzare il lavoro, specialmente in
relazione a pratiche facilitate da Internet, vorrei evidenziare due aree. Nel
campo del lavoro non pagato, negli Stati Uniti almeno, il caso più cocente è
quello dei tirocini non pagati. Poi c’è una discussione un po’ più alla moda,
ma secondo me secondaria, sulla ‘mezzadria ambientale’: la raccolta, analisi, e
vendita di Big Data presi dai servizi di social networking. Mi preoccupa
specialmente a causa delle rivelazioni post-Snowden che dimostrano come le
compagnie di telecomunicazioni facciano milioni di dollari vendendo i nostri
dati al governo.
Nel campo del lavoro digitale pagato (e nota come uso i termini ‘labor’
e ‘work’ in maniera intercambiabile che sarebbe il soggetto di tutta un’altra
conversazione), il problema più urgente è quello dei lavoratori più poveri
nell’industria del crowdsourcing, che svolgono i lavori più umili, pagati
regolarmente tra due e tre dollari all’ora, sostenuti dalla mancata imposizione
del National Labor Standards Act che ritiene queste pratiche illegali. Quindi
non mi riferisco a tutto il lavoro nell’industrial del crowdsourcing come
‘mungitura delle folle’, ma ho introdotto questo termine per evidenziare il
segmento più disperato di quest’area del lavoro, dove c’è bisogno
disperatamente di cambiamenti. Una società che si definisce una democrazia non
dovrebbe tollerare questi ambienti lavorativi.
Ma prima di procedere, fammi riassumere alcuni recenti momenti di promettente organizzazione del lavoro.
Ma prima di procedere, fammi riassumere alcuni recenti momenti di promettente organizzazione del lavoro.
La città in cui vivo, New York City, ha appena introdotto una legge che
introduce il pagamento delle assenze per malattia e sempre qui a New York City
i tassisti, a cui è proibito legalmente di formare un sindacato, hanno creato
una associazione di tassisti. Lo stato della California ha introdotto i
permessi di maternità e paternità pagati e la città di Seattle ha appena
stabilito un salario minimo di 15$ (all’ora n.d.t.)
L’anno scorso abbiamo anche visto il primo ‘sciopero prolungato’ con
almeno 500 impiegati nella vendita al dettaglio del grande magazzino Walmart.
Il 15 Maggio del 2014, i lavoratori dei fast food da New York City a Mumbai, da
Parigi a Tokyo, hanno organizzato uno sciopero globale picchettando luoghi di
lavoro come McDonald’s, Burger King e Pizza Hut. I lavoratori obiettavano
all’essere intrappolati in McLavori senza benefici garantiti, malattie pagate,
e ferie pagate. Anche in Cina, i lavoratori non stanno più semplicemente
accettando tutto. Appena qualche mese fa, circa 40,0000 operai alla Yue Yue
Industrial Holdings non sono tornati alla catena di montaggio per due
settimane, quindi seriamente ritardando la produzione di scarpe da ginnastica
per Adidas e Nike. Molti di questi sviluppi sarebbero stati impensabili
tre anni fa.
Anche se apprezzo questi sviluppi, io vedo il lavoro digitale come
parte di un più ampio sviluppo che include processi di globalizzazione,
anti-sindacalismo, deregolamentazione, precarizzazione, la proletarizzazione
delle professioni e molto ancora. Il lavoro digitale sposta l’orologio indietro
per il lavoro organizzato fino alla seconda metà dell’Ottocento quando la
settimana lavorativa di ottanta ore era ancora la norma. E’ essenziale capire
quanto sia grande questa forza lavoro di cui stiamo parlando adesso. Ed è molto
difficile avere i numeri perché aziende come CrowdFlower e CrowdSpring stanno
nascondendo esattamente quanti operai americani lavorano per loro. Enfatizzo
gli operai americani qui solo a causa del National Labor Standards Act, che
stabilendo un salario minimo dovrebbe proteggerli. Il fatto che questa partita
si stia giocando sul terreno degli Stati Uniti pure è importante perché gli
intermediari, le aziende reali dietro questo lavoro, sono collocate per lo più
negli Stati Uniti e quindi cadono sotto la sua giurisdizione legale. Alcune
stime preliminari parlano di una forza lavoro internazionale di sei milioni di
persone.
Come hai detto, molte aziende attive nel crowdsouring incluso il Turco
Meccanico di Amazon, operano in modo anonimo – anonimità del lavoratore e
anonimità del ‘datore di lavoro’. Se prendi in considerazione che
quest’ambiente che è caratterizzato da anonimità è anche transazionale, allora
la sfida ai sindacati tradizionali diventa chiara. Anche l’automazione è parte
di questo quadro. Dai cuochi in Cina alle macchine che si guidano da sole, il
futuro del lavoro potrebbe anche essere che non ce ne sarà. Oggi, non ci sono
più le mense o i cancelli delle fabbriche dove i sindacalisti potevano
distribuire il loro materiale. Ci confrontiamo con una forza lavoro altamente
individualista, culturalmente diversa, internazionale e temporanea che sembra
quasi impossibile da sindacalizzare. Ma lo stesso si poteva dire degli sforzi di
Cesar Chavez quando ha cercato di sindacalizzare i lavoratori contadini
migranti e con l’aiuto del boicottaggio dei consumatori, ci è riuscito anche se
solo per un periodo limitato di tempo.
Fammi arrivare al punto. Io non penso che il ‘lavoro digitale’ sia al
centro dell’economia e che tutto il lavoro andrà in quella direzione nei
prossimi cinque anni. Ci sono cambiamenti significativi dei mercati del lavoro
verso Internet, ma è solo una parte dell’economia. Ma se aggiungi tutta l’area
dei professionisti ad hoc e i freelance allora diventa una parte molto
significativa della popolazione. Il sindacato dei Freelance negli Stati Uniti
per esempio ha 225,000 membri ed è il sindacato che sta crescendo più
velocemente nel paese. Sto indicando tutti questi processi per chiedere se i
sindacati tradizionali saranno sempre irrilevanti alla maggioranza della forza
lavoro in 20 o 30 anni. Questo è sicuramente vero per i milioni di persone la
cui pratica quotidiana può essere solo descritta come lavoro digitale.
Mi chiedi che cosa rimanga ai lavoratori se accettiamo il fallimento
dei sindacati tradizionali nel proteggere segmenti sempre più ampi della
popolazione. Io penso che qualsiasi associazione di lavoratori che ha il
potenziale di portare a una politicizzazione dovrebbe essere benvenuta. Ci sono
i forum dei lavoratori online: per il Turco Meccanico ci sono CloudMeBaby e
TurkerNation per esempio. C’è un intervento di design che ti chiama Turkopticon
che permette agli operai di Mechanical Turk di valutare i loro ‘datori di
lavoro’ anonimi, identificare le pecore nere o aziende cha pagano spesso tardi
o non pagano proprio. E si c’è il sindacato dei freelance e mentre il loro
potere di lobby è molto limitato e il loro bene centrale, assistenza sanitaria
a prezzi sostenibili, è stato appena svuotato dall’Obamacare, penso ancora che
quella organizzazione di lavoratori può arrivare a situazioni di mutuo
soccorso. Il mio suggerimento dunque è di pensare fuori dagli schemi del
modello del sindacato storico e cercare di trovare modelli sperimentali che
possano non sembrare affatto sindacati. Penso all’associazione dei tassisti a
New York City o il plug-in di Firefox Turkopticon. La collaborazione tra queste
associazioni, i movimenti sociali e le cooperative di lavoratori potrebbe
essere un altro aspetto da esplorare così come la crescente arena degli spazi
di co-lavoro. La lotta per i diritti del lavoro, come suggerisce la parola,
richiede un senso di antagonismo ma possiamo anche invocare la sperimentazione
con nuove forme di mutuo soccorso. Troviamo in giro un certo linguaggio che
parla di ‘nuovi collettivi’. Ma questi nuovi collettivi sono tipo la gente che
si affitta le proprie camere in più l’un l’altro oppure dobbiamo pensare ai
‘nuovi collettivi’ nella tradizione dei gruppi di resistenza con Billy Bragg
che canta ‘Da che parte state ragazzi, da che parte state?’. O rifletti se vuoi
(e qua non sono solo i ‘ragazzi’) sugli Zapatisti che, solo due decenni fa,
hanno usato i media tattici nella loro guerra contro il governo messicano che aveva
firmato l’accordo NAFTA. La loro risposta è stata la formazione di alleanze
locali impegnate nella autosufficienza.
TT: Perchè sei così critico della cosiddetta
‘sharing economy’ o economia della condivisione? Come leggi l’impatto di nuove
applicazioni come Airbnb, Taskrabbit e simili sui modi in cui la gente sceglie
di guadagnarsi da vivere, ma anche in termini della svolta più ampia verso
l’austerity e l”ipermeritocrazia’?
TS: Cercherò di darti una risposta più breve
della prima. Sono stato a molti eventi sull’ ‘economia della condivisione’
ultimamente. Il rivoltamento ideologico del linguaggio della condivisione
attorno a questo fenomeno della ‘sharing economy’ mi fa impazzire. C’è uno
sforzo coordinato di mettere insieme modelli genuini di condivisione di gruppo
con pratiche aziendale che sono meramente l’espressione del sopravvento di una
industria emergente su una più vecchia. Siamo abbastanza vecchi da ricordarci
la macchina ideologica del paradigma del Web 2.0 che si è appropriata di alcuni
fenomeni all’inizio e metà degli anni duemila e ci ha aggiunto il francobollo
rosso di novità e persino di rivoluzione per accendere l’entusiasmo degli
investitori. Airbnb e Uber sono aziende che hanno un successo straordinario ma
per favore non le confondete con la prossima Wikipedia o con il Progetto
Gutenberg. Airbnb ha così tante stanze quante la catena di alberghi Hyatt,
quindi puoi dire che l’industria alberghiera ha alcuni nuovi miliardari. Questo
dovrebbe essere davvero chiaro quando parliamo della ‘sharing economy’.
Dobbiamo anche aver chiaro che ciò che è spesso etichettato come ‘sharing’ o
‘condivisione’ è in realtà affittare e che alcune delle cose che stiamo
affittando sono risorse pubbliche, non solo le nostre. Penso per esempio a
un’azienda di San Francisco, che si chiama Monkey Parking, che permetterebbe ai
guidatori che stanno uscendo da un parcheggio pubblico di usare l’app
dell’azienda per vendere quel parcheggio a chi lo cerca. Puoi pensare
all’estrazione della rendita di cui parla Vercellone, che è quello che ho
sempre pensato in relazione a Google e ai commons online, ma forse puoi anche
pensarci in relazione allo spazio pubblico, o spazio degli incontri (o della
carne) come lo chiamano.
Oltre a questa impostazione ideologica del linguaggio della ‘sharing
economy’, della rendita contro la condivisione – e non ho nemmeno menzionato
l’ideologia californiana in azione… le meditazioni, gli abbracci di gruppo, i
discorsi aziendali – sono anche preoccupato del ruolo che aziende come
TaskRabbit, Airbnb, e Uber giocano nella più ampia scommessa neoliberale.
Parliamo della visione sociale dietro ai passaggi al lavoro digitale, una che
con successo elimina dalla società le classi medie. Per esempio, l’ultimo
libro, Average Is Over (La media è finita) dell’economista e ideologo dei
fratelli Koch, Tyler Cowen, in cui predice che ci sarà una superclasse, una
‘ipermeritocrazia’ dal 10 al 15% che guadagna più di un milione di dollari
l’anno e il resto della popolazione dovrà accontentarsi di salari annui di 5-10,000
dollari. Quando gli hanno chiesto chi accetterebbe questa cosa, Cowen ha
risposto: hey, un sacco di gente in Messico è felice facendo anche meno soldi.
‘Non stanno benissimo, ma possono mangiare cibo a buon mercato e hanno case
molto economiche. I loro alloggi sono soddisfacenti anche se non spettacolari e
naturalmente il tempo più caldo aiuta’. Forse Walter White dovrebbe organizzare
una rubrica giornalistica ‘Hunger Games’ su questa linea. In Breaking Bad,
Walt, un insegnate di chimica di scuola superiore, trova una soluzione
irresistibile per pagarsi i conti delle cure sanitarie: sintetizza cristalli di
metamfetamina. Alternativamente, i poveri possono affittare tutti i loro beni
attraverso la ‘sharing economy’ e dividersi gli avanzi di cibo con Leftoverswap.com.
TT: Hai anche discusso di nuove possibili
tattiche inventive per i movimenti dei lavoratori digitali, guardando a
sperimentazioni come le Precarious Workers Brigades e l’ Institute
for Precarious Consciousness, ma anche forum su Internet per i
‘crowdworkers’, la possibile ‘gamification’ della sindacalizzazione, la
possibilità di copiare il modello wikileaks per situazioni di particolare
sfruttamento, e l’uso di apps di social media per mobilizzarsi. Puoi dirci
qualcosa di più su questa sperimentazione con l’organizzazione del lavoro
digitale?
TS: Si, discuto tutte
queste idee nel mio nuovo libro. Ho già risposto ad alcune parti di questa
domanda, ma c’è ancora un aspetto che penso sia abbastanza importane. E’ un
errore pensare che il lavoro digitale sia immateriale. E’ facile dimenticare il
lavoro sudato della gente in Congo, Cina e Taiwan che producono l’hardware che
usiamo. E non ci avviciniamo neanche al modo in cui i nostri stili di vita sono
fondati sulla loro povertà. Ma anche i corpi dei centinaia di migliaia di
lavoratori che hanno faticato per il Mechanical Turk di Amazon negli Stati
Uniti sono facilmente dimenticati, sono invisibili. Quando si parla della
politica di Internet spesso ci si rassegna ai militanti della rete e del lavoro
che pensano a come usare i media sociali per organizzarsi, come possono mettere
in grado i lavoratori di esporre i segreti delle aziende attraverso piattaforme
tipo Wikileaks, e va tutto bene, ma voglio enfaticamente sottolineare che anche
politiche elettorali, proteste di strada e altri interventi fisici sono ancora
molto pertinenti. Ecco perché mi piacciono progetti come la Precarious Workers Brigades, che operano
soprattutto nel Regno Unito. Spruzzano messaggi nei posti fisici dove si
trovano le aziende che offrono tirocini gratuiti.
È difficile rispondere alle tue
domande molto sintetiche e gradevolmente riassuntive, penso che per un’immagine
più completa di alcune di queste idee, dovrete usare il mio libro di prossima
uscita.
E di nuovo grazie mille per avermi
dato l’opportunità di parlare di questi argomenti e sono molto curiosa sulla
tua prospettiva, e oltre a ciò, mi piacerebbe molto imparare dai progetti
europei di sperimentazione con la nozione di società di mutuo soccorso.
TT: Grazie a te
Trebor della disponibilità e del lavoro che fai su questi argomenti.