martedì 8 luglio 2014

Il diritto alla fuga

di  Toni Negri

Tempi presenti. «Confini e frontiere, la moltiplicazione del lavoro nel mondo globale», il libro di Sandro Mezzadra e Brett Neilson sulla variabilità e le alternative alla geopolitica della costrizione. E il ritorno della lotta di classe come motore dinamico del cambiamento possibile

Dopo l’89 e la fine dell’Unione Sovie­tica il mer­cato capi­ta­li­sta è diven­tato glo­bale. Da allora, pur attra­verso mol­te­plici crisi, tale glo­ba­lità si è man­te­nuta – anzi, raf­for­zata. Si sono tut­ta­via potuti osser­vare altri feno­meni: la rela­tiva crisi dell’egemonia Usa e soprat­tutto una nuova, sem­pre più evi­dente, pro­gres­siva costi­tu­zione e/o modi­fi­ca­zione delle linee che defi­ni­scono gli spazi del tes­suto glo­bale. Lasciando alla geo­po­li­tica la discus­sione sul declino (o meno) della potenza nord-americana e sulla distri­bu­zione ormai con­ti­nen­tale della sovra­nità impe­riale, con­cen­tria­moci sul nuovo dina­mi­smo delle fron­tiere – non tanto di quelle esterne quanto di quelle interne, dei flussi migra­tori, degli esodi e della ricol­lo­ca­zione delle indu­strie mani­fat­tu­riere, del riqua­li­fi­carsi uni­ver­sale dei ser­vizi logi­stici e finan­ziari… il «liscio» del para­digma glo­bale ci si pre­senta ora piut­to­sto come un dislo­carsi con­ti­nuo di dif­fe­renze e/o di diverse figure di orga­niz­za­zione, di flussi e/o di potenze varia­bili di inten­sità, e la tota­lità si offre come insieme ete­ro­ge­neo di movi­menti spa­ziali e/o di rimo­del­late insi­stenze gerarchiche.

Com­po­si­zioni in debolezza
L’orizzonte dei «mille piani» da astratto si è fatto reale. E dove non c’è più «fuori», il «den­tro» pro­duce diver­sità sem­pre più rile­vanti; dove il con­cavo è dato, il con­vesso si sta­bi­li­sce non come con­tra­rio ma come flut­tuante alter­na­tiva. Marx aveva ben descritto la ten­denza (e l’interiore dispo­si­tivo) che spin­geva verso la costi­tu­zione del mer­cato mon­diale ma non aveva espli­ci­tato come nello svi­luppo della ten­denza doves­sero ricom­pa­rire diverse fun­zioni di domi­nio, insi­stenti sulla con­ti­nua muta­zione e sulla sin­go­la­rità spa­ziale delle forme dello sfrut­ta­mento, dei dispo­si­tivi e delle ten­sioni gerar­chi­che – anch’esse varia­bili – del comando.
La divi­sione inter­na­zio­nale del lavoro risulta imple­men­tata da una nuova strut­tu­ra­zione spa­ziale: come ciò avvenga, Marx non lo dice – tut­ta­via egli ci ha for­nito un punto di vista dina­mico, il movi­mento del lavoro vivo, dal quale guar­dare que­sta mute­vole realtà (e a par­tire dal quale inte­grare la sua opera). C’è un grande lavoro da fare. Tanto più impor­tante quando, dal punto di vista di un’analisi geo­po­li­tica di quella lotta di classe che ormai si svolge a livello glo­bale, si avverta quanto siano usati e insuf­fi­cienti metodi ana­li­tici altre volte effi­caci, come ad esem­pio la pos­si­bi­lità di strin­gere den­tro una chiave ana­lo­gica (in ter­mini di iso­for­mia) strut­ture eco­no­mi­che e poli­ti­che, di poter fare della com­po­si­zione tec­nica del capi­tale e della forza lavoro la base di com­pren­sione della com­po­si­zione poli­tica delle classi.
Quelle logi­che oggi spesso si scon­trano e fun­zio­nano indi­pen­den­te­mente l’una dall’altra sic­ché dal loro con­fronto spesso deriva caos – oppure, come usano i rea­zio­nari, risul­tano ricom­po­si­zioni «deboli», estre­ma­mente varie­gate ed instabili.
Non c’è modo di affron­tare rea­li­sti­ca­mente il pro­blema se non immer­gen­dosi in que­sta nuova realtà e ten­tando di scom­porla e rico­struirla genea­lo­gi­ca­mente. Lo fanno Brett Neil­son e San­dro Mez­za­dra. Il libro di cui par­liamo Con­fini e fron­tiere. La mol­ti­pli­ca­zione del lavoro nel mondo glo­bale (Il Mulino, Bolo­gna, 2014), era già stato pub­bli­cato negli Usa con il titolo Bor­der As Method (pec­cato, per l’accademica e banale modi­fi­ca­zione del titolo da parte dell’editore ita­liano!). «Le mol­te­plici com­po­nenti del con­cetto e dell’istituzione del con­fine (giu­ri­di­che e cul­tu­rali, sociali ed eco­no­mi­che) ten­dono a stac­carsi dalla linea magne­tica cor­ri­spon­dente alla linea geo­po­li­tica di sepa­ra­zione tra Stati-nazione. Per affer­rare que­sto pro­cesso pren­diamo le distanze dall’interesse pre­va­lente per i con­fini geo­po­li­tici che carat­te­rizza molti approcci cri­tici, par­lando non solo di una pro­li­fe­ra­zione ma anche di una ete­ro­ge­neiz­za­zione dei con­fini»: tali il pre­sup­po­sto e l’approccio.
Que­sto signi­fica che Mez­za­dra e Neil­son assu­mono il con­fine in maniera del tutto nuovo (fou­cal­tiana?) come punto di vista epi­ste­mo­lo­gico, e si met­tono sul con­fine per guar­dare, per costruire con­cetti ade­guati ai flussi che sem­pre nuo­va­mente costrui­scono o con­trad­di­cono il dato, per con­di­vi­dere le pas­sioni dei corpi che, attorno ai con­fini, lot­tano, oltre­pas­san­doli o rima­nen­done vit­time – in ogni caso espri­mendo su que­sto ter­reno nuove rispo­ste alle nuove figure del domi­nio – rispo­ste sem­pre ete­ro­ge­nee quanto lo diven­gono gli attori che qui si pro­pon­gono, ma sem­pre potenti quando si con­ceda alla riu­scita dell’attraversamento della fron­tiera la dignità onto­lo­gica della pro­du­zione di soggettività.
Assu­mia­molo dun­que anche noi que­sto punto di vista e ponia­moci su quel luogo pri­vi­le­giato di let­tura e di par­te­ci­pa­zione, di dif­fe­renza e di anta­go­ni­smo, ai pro­cessi di glo­ba­liz­za­zione. «Con­fini pro­li­fe­ranti» – il punto cen­trale, la mac­china che smuove e ricom­pone i con­fini è la lotta di classe; e il rea­liz­zarsi del desi­de­rio noma­dico, l’esercizio del «diritto di fuga» che si pre­sen­tano dina­mi­ca­mente come pres­sione sui con­fini geo­po­li­tici esi­stenti e si rive­lano onto­lo­gi­ca­mente come movi­mento irre­si­sti­bile. «Il nostro obiet­tivo – dicono gli autori – è quello di tenere insieme una pro­spet­tiva sul con­fine segnata dall’attenzione per la forza-lavoro, con il nostro inte­resse per le lotte di con­fine e la pro­du­zione di sog­get­ti­vità. L’analisi si con­cen­tra così sulle ten­sioni e i con­flitti attra­verso cui i con­fini pla­smano le vite e le espe­rienze dei sog­getti che, per il fun­zio­na­mento del con­fine stesso, sono con­fi­gu­rati come “por­ta­tori” di forza-lavoro. La pro­du­zione della sog­get­ti­vità di que­sti sog­getti costi­tui­sce un momento essen­ziale del più gene­rale pro­cesso di pro­du­zione della forza-lavoro come merce».
Di qui il discorso sulla «pro­li­fe­ra­zione delle fron­tiere», dive­nuto motore di ricon­fi­gu­ra­zione della forza-lavoro, si spo­sta deci­sa­mente sulla defi­ni­zione delle forme spe­ci­fi­che nelle quali il lavoro-vivo si mol­ti­plica. È una vera e pro­pria apo­lo­gia del lavoro-vivo quella che qui si apre.
Il con­cetto di «mol­ti­pli­ca­zione del lavoro» segue quella feno­me­no­lo­gia con­tem­po­ra­nea che descrive, nella intel­let­tua­liz­za­zione, nella imma­te­ria­liz­za­zione ed infor­ma­tiz­za­zione del lavoro, il nuovo con­fi­gu­rarsi e dif­fe­ren­ziarsi di capa­cità pro­dut­tive. La trat­ta­zione di que­sto punto non è noio­sa­mente ripe­ti­tiva: rende conto del fatto che que­ste qua­li­fi­ca­zioni astratte (e talora – come l’immateriale – biz­zarre) della forza-lavoro si ricom­pon­gono nella con­cre­tezza del pro­cesso lavo­ra­tivo e nell’evidenza della mate­ria­lità della merce. E tut­ta­via insi­ste sul fatto che qui ormai è la coo­pe­ra­zione lavo­ra­tiva, il momento cen­trale che pre­siede ad ogni mol­ti­pli­ca­zione. «Cooperazione–comune»: è il pre­sup­po­sto dell’agire pro­dut­tivo e se esso non si può rico­no­scere che al ter­mine del pro­cesso, ciò non­di­meno è la coo­pe­ra­zione che tiene aperti piani mol­te­plici ed irre­ver­si­bili di pro­du­zione di sog­get­ti­vità. Con ciò la tra­sfor­ma­zione dei con­fini ha successo.


Assetti mobili
«Pro­du­zione di sog­get­ti­vità» sarà allora il trac­ciato che si stende fra la lotta attorno ai con­fini e il pro­dursi di una nuova potenza lavo­ra­tiva – si pone dun­que, que­sta pro­du­zione, sul mar­gine tra capa­cità capi­ta­li­sta di cap­tare eco­no­mi­ca­mente il valore (plus-valore) delle nuove forme di coo­pe­ra­zione del lavoro pro­dut­tivo e di gover­narle – e, d’altra parte, la capa­cità del lavoro vivo di pro­durre coo­pe­ra­zione, di riap­pro­priarsi auto­no­ma­mente di que­sta e di resi­stere alla pres­sione di nuovi assetti di cat­tura, fun­zio­nali e gerarchici.
L’analisi si svi­luppa allora inse­guendo il tra­sfor­marsi delle teo­rie della divi­sione inter­na­zio­nale del lavoro a fronte della tra­sfor­ma­zione dei sog­getti sul mer­cato mon­diale; insi­stendo sui pro­cessi costi­tu­tivi di quella fabrica mundi che viene in que­sto con­te­sto così costruen­dosi; met­tendo a con­fronto l’eterogeneità della com­po­si­zione del lavoro-vivo che si esprime in nuove figure pro­dut­tive (come esem­pio par­ti­co­lar­mente rile­vante su que­sto ter­reno, l’analisi è por­tata sulle lavo­ra­trici di cura e sui tra­ders finan­ziari) con le dimen­sioni «comuni» del pro­durre ora ricon­qui­state dal lavoro-vivo.
L’analisi si spo­sta con­se­guen­te­mente sui mec­ca­ni­smi di governo della mobi­lità del lavoro-vivo e stu­dia come forme più o meno disci­pli­nari di fil­trag­gio e di gerar­chia ven­gano costruen­dosi. Par­ti­co­lare impor­tanza è attri­buita al con­cetto di «inclu­sione dif­fe­ren­ziale» tipica della «mac­china sovrana della gover­na­men­ta­lità» – con­cetto ade­guato per cogliere gli emer­genti assem­blaggi di potere nell’era glo­bale, più di quanto pos­sano esserlo l’idea di un «governo sovrano» (più o meno «ecce­zio­nale») o quello di una gover­nance, troppo inde­ter­mi­nata. È a que­sto punto che, con par­ti­co­lare forza, viene costruito un pro­getto di ricom­po­si­zione, meglio, ricer­cato il dispo­si­tivo di un lavoro-vivo ricom­po­sto nel comune. Il con­cetto di «tra­du­zione», inter­pre­tato non solo in maniera lin­gui­stica ma essen­zial­mente onto­lo­gica, viene recu­pe­rato per cogliere e nar­rare le ricom­po­si­zioni «comuni» della forza-lavoro – la pos­si­bi­lità di una figura poli­tica che emerga den­tro que­sta nuova strut­tura della lotta di classe.
Un libro dif­fi­cile? Forse. Dif­fi­cile – diremmo – come lo erano per i con­tem­po­ra­nei i libri di Max Weber. Straor­di­na­rie somi­glianze appa­iono qui fra que­sto Bor­der as Method e Wir­ts­chaft und Gesell­schaft – o ancor più con i webe­riani scritti socio­lo­gici di ricerca di campo. Ma straor­di­na­ria è anche la dif­fe­renza. Que­sto di Neil­son e Mez­za­dra è un manuale per una nuova visione glo­bale. È solo stu­diando libri di que­sto genere che ci si rende conto di quale distanza si dia ormai tra le con­ce­zioni del «moderno» ela­bo­rate dal pen­siero della bor­ghe­sia più avan­zata – nell’epoca che sta attorno al ’17, momento nel quale la sua ege­mo­nia era defi­ni­ti­va­mente con­tra­stata dalla rivo­lu­zione immi­nente – e un nuovo punto di vista, nel «post-moderno», da parte di stu­diosi che si schie­rano sul lato della sov­ver­sione. È infatti solo il com­pito sov­ver­sivo che per­mette di porre la cono­scenza del pre­sente den­tro quella rot­tura che stacca dal «moderno» l’attuale feno­me­no­lo­gia del lavoro e del potere.

Stra­te­gie comuni
Insomma, que­sto è un libro insieme freddo e gene­roso, scien­ti­fico e inno­va­tivo, fuori dalla ripe­ti­zione accal­data e dalla sti­ti­chezza del pen­siero acca­de­mico; que­sto libro ha l’impressionante viva­cità di un «clas­sico», in quel suo pro­ce­dere da espe­rienze dirette, non già clas­si­fi­cate, per por­tarle al livello di «con­cetti comuni» – ed infine esso è un libro essen­zial­mente poli­tico, come lo sono sem­pre anche i «clas­sici» più neu­trali. Ci sono pagine dedi­cate alla «tra­du­zione» ed alla costru­zione di «con­cetti comuni» – c’è lo sforzo di sta­bi­lire dispo­si­tivi che supe­rino la sepa­ra­zione fra lin­gue, cul­ture e sog­get­ti­vità e creino la pos­si­bi­lità di poli­ti­che radi­cali – vi son pagine, nell’ultima parte del volume, che danno la misura di quanto una nuova gene­ra­zione di stu­diosi si sia oggi avvi­ci­nata ad un lavoro teo­rico di inno­va­zione nella cono­scenza della e col­lo­ca­zione nella glo­ba­lità – e di ride­fi­ni­zione di una poli­tica sovversiva.
Alla fine, che cosa signi­fica que­sto? Quali indi­ca­zioni di lotta ci dà? Mez­za­dra e Neil­son affer­mano innan­zi­tutto che il ter­reno glo­bale non si pre­senta come un’«eterotopia», che esso dun­que non potrà e non dovrà essere inve­stito da un «esodo». Tro­van­dosi a fronte di que­sta tra­sfor­ma­zione, anche in tempi recenti, taluni hanno infatti dubi­tato – Neil­son e Mez­za­dra ci tol­gono dal dubbio.
Il ter­reno glo­bale è fin da ora sem­pre un ter­reno per­corso da lotte, un ter­reno nel quale l’utopia si è incar­nata. Noi siamo «lì» ed ora: non «qui» ed ora, ma appunto «lì», illic piut­to­sto che hic – il che signi­fica che la pre­senza è una ten­sione e un dispo­si­tivo, che la sov­ver­sione è aperta. Rin­gra­ziamo il mar­xi­smo cri­tico di averci ancora una volta dato que­sta pos­si­bi­lità di andare oltre la con­si­stenza del domi­nio, di aver costruito gli acidi utili alla dis­sol­venza della webe­riana «gab­bia d’acciaio».