di
Bartolo Mancuso e Carlo Guglielmi*
Posizione del Forum diritti lavoro sul divieto di
residenza e di allacci alle utenze per le famiglie che vivono negli stabili
occupati. Un “segno di classe” estremo a cui mai era giunto nessun governo
repubblicano. Una breve ricostruzione dell’evoluzione del concetto giuridico di
residenza
L’ART
5 DEL DECRETO LEGGE RENZI-LUPI SUL “PIANO CASA” E IL DIRITTO AD ESISTERE
Esattamente
come accaduto per il lavoro (e cioè le “tutele progressive” e “gli
80 euro” in più in busta paga forse un domani mentre la precarietà e
la fine di ogni diritto alla formazione subito con il decreto legge Renzi –
Poletti n. 34 del 20 marzo) lo stesso ha fatto il Governo sul cd
“piano casa” con il decreto legge gemello Renzi – Lupi n. 47
del 28 marzo.
Ed
infatti le misure previste per fronteggiare l’emergenza abitative sono del
tutto vaghe, future, senza investimenti pubblici e basate sulla solita
fallimentare miscela di svendita del patrimonio immobiliare pubblico,
costituzione di “fondi di garanzia” (pubblici) che
andranno a finanziare programmi di edilizia popolare “in
convenzione con cooperative edilizie”, un altro
taglio delle tasse per i proprietari di immobili e la replica del cd “modello
Bertolaso” per le grandi opere con la deregolamentazione della normativa
urbanistica per l’Expo di Milano. Ma se sin qui siamo alla solita
politica degli annunci che avrà quale risultato solo un ulteriore sostegno a
costruttori e immobiliaristi e che ha accompagnato da sempre la politica
sulla casa in Italia, l’aspetto veramente straordinario del decreto
47 è che sostanzialmente l’unica norma immediatamente operativa nel nostro
ordinamento dal 28 marzo è quella prevista all’art. 5 che stabilisce come
“chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può
chiedere la residenza né l’allacciamento
a pubblici servizi in relazione all’immobile
medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto
sono nulli a tutti gli effetti di legge.”
E
– se si tiene conto di come notoriamente ad oggi decine di migliaia di famiglie
impoverite siano costrette a vivere in immobili occupati abusivamente -
non può non rilevarsi la beffarda ironia del Presidente Napolitano
che ha immediatamente controfirmato il decreto rendendolo vigente
con provvedimento che testualmente giustifica il ricorso straordinario ed
eccezionale al decreto legge “considerata, in particolare, la necessità
di intervenire in via d’urgenza per far fronte al
disagio abitativo che interessa sempre più famiglie
impoverite dalla crisi” (sic).
Ma
per spiegare il “segno di classe” estremo a cui mai era giunto nessun governo
repubblicano occorre qui brevemente ricostruire l’evoluzione del concetto
giuridico di residenza.
È
utile precisare infatti che l’ottenimento della residenza è un completo diritto
soggettivo del cittadino che trova tutela e fondamento nei principi generali
dell’ordinamento e nella Carta Costituzionale.
Il
concetto giuridico di residenza è contenuto nell’art. 43 del codice
civile il quale dispone “ il domicilio di una persona è nel
luogo in cui ha stabilito la sede dei suoi affari e interessi. La residenza è
nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. La distinzione
operata dalla norma tra domicilio, inteso come sede degli affari, e
residenza, intesa come dimora abituale, è meritevole di attenzione. Tale
distinzione ha fatto il suo esordio nel 1865 con il primo codice
civile dell’Italia Unita, con la volontà di riconoscere alla persona la
possibilità di avere una sede personale – la residenza appunto – distinta dal
luogo in cui esercita gli affari. Con tale scelta, confermata dal codice civile
vigente che è stato approvato nel 1942 , si decise quantomeno di equiparare il
profilo economico e quello personale ed affettivo, concependo il domicilio come
luogo di imputazione delle situazioni patrimoniali e la residenza come luogo
delle esigenze personali e di vita, dando a queste ultime una rilevante dignità
giuridica. L’emergere nell’ordinamento del concetto di residenza va di
pari passo cioè con il passaggio da una società fondata sugli status, ad una
società caratterizzata dalla nozione di cittadinanza e dalla parità giuridica
fra cittadini propria dello Stato di Diritto. Non a caso la
prima legge anagrafica risale al 1791 nella Francia immediatamente post
rivoluzionaria ed uno dei passaggi fondanti della nascita dello Stato Italiano
è consistito proprio nella costruzioni di un ordinamento anagrafico. E’
evidente che tale distinzione presenta una dimensione qualitativa, poiché
mentre il domicilio attiene ad una condizione giuridica (elettiva) del
soggetto, la residenza qualifica una situazione di fatto, relativa alla dimora
abituale del soggetto. Ma il diritto all’accertamento di tale fatto risulta di
primaria importanza, poiché con il riconoscimento della residenza implica
numerosi diritti – e anche degli obblighi - relativi alla condizione di
cittadino
In
primo luogo, sancisce una sorta di diritto di affermazione dell’
esistenza, ovverosia di registrazione quale cittadino residente ai fini di
tutte le rilevazioni statistiche e alla distruzione delle risorse e
all’imputazione delle imposte. Senza contare che il corretto censimento dei
residenti è un aspetto dell’ordine pubblico (ad esempio se crolla un edificio
occorre sapere chi potrebbe esservi sotto le macerie, ecc.)
In
secondo luogo, la residenza è precondizione dell’esercizio dei diritti
politici, con particolare riferimento all’iscrizione nelle liste elettorali e
la possibilità di esercitare l’elettorato passivo. Senza la residenza non
è possibile, poi, godere a pieno del diritto alla salute in quanto è
condizione per ottenere l’assegnazione di un medico di famiglia e del diritto
allo studio in quanto è condizione dell’accertamento dell’obbligo
scolastico. Ed infine la “residenza legale” in Italia è necessario requisito
per ottenere la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, lett.
f), L. n. 91/92. Infine ogni sussidio, agevolazione o servizio viene
presuppone la condizione – si ripete oggettiva - della residenza.
Alla
luce di tali considerazioni appare evidente il legame che corre tra la
residenza è l’esercizio di diritto fondamentali di portata Costituzionale.
La
residenza, anzitutto, è legata all’esercizio dei diritti fondamentali di cui
agli artt. 2 e 16 Cost. della costituzione. L’art. 2 riconosce i diritti
inviolabili dell’uomo sia come singolo sia come singolo “sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e l’art. 16
stabilisce che “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente
in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge
stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.”
Inoltre,
tenendo conto che con il decreto Renzi – Lupi viene negato anche il
diritto alle utenze, la Costituzione tutela tutti i diritti per il cui
esercizio è funzionale la residenza sopraelencati ( diritto alla salute : art.
32; diritto allo studio art. 34; il diritto alla distribuzione delle risorse e
alla fruizione dei servizi di welfare: art. 3; diritto ad una vita libera e
dignitosa: art. 36 ). Insomma con il piano caso di Renzi – Lupi non
si esce solo dalla Costituzione ma si torna indietro all’Italia preunitaria.
Va
al riguardo detto come – in effetti – norme simili negli effetti siano state
adottate dalle giunte leghiste per escludere i non “nativi” presenti sul
territorio ma tali provvedimenti sono sempre stati annullati dal T.a.r. in
quanto “è opinione comune in giurisprudenza che la residenza di una
persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato
luogo, ossia dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e da quello
soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rilevata dalle consuetudini
di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali; pertanto, qualora
la residenza anagrafica non corrisponda a quella di fatto, è di questa che
bisogna tener conto con riferimento alla residenza effettiva , quale si desume dall'art.
43 c.c., e la prova della sua sussistenza può essere fornita con ogni
mezzo, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche o in contrasto con esse”
(T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 20-12-2012, n. 3157, si veda anche Cons.
Stato, sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7730).
E
ciò infatti discende direttamente dalla normativa nazionale pregressa (che, paradossalmente
non è stata abrogata a riprova non solo dell’odio di classe dell’attuale
Governo ma anche della sua totale impreparazione tecnica). Ed infatti la
legge 1228/54 stabilisce che “è fatto obbligo ad ognuno di
chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la
tutela, la iscrizione nell'anagrafe del Comune di dimora abituale”, senza
contenere alcuna limitazione relativa alla condizione abitativa del
richiedente. Il regolamento anagrafico (dpr 223/89) stabilisce che “
per persone residenti nel comune si intendono quelle aventi la propri dimora
abituale nel comune”. Nella stessa direzione si pone la Circolare del
Ministero dell’Interno del 29/5/95 per cui “la richiesta di iscrizione
anagrafica non appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il
contrario, in quanto in tale modo si verrebbe a limitare la libertà di
spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale in palese
violazione dell’art. 16 della Costituzione”. La circolare afferma,
poi, che tale accertamento non implica una “discrezionalità
dell’amministrazione”.
E
del resto ciò spiega come la residenza sia stata sempre concessa in alloggi di
fortuna, quali roulette, tende, camper e immobili senza titolo. E proprio
perché la pubblica amministrazione si limita ad accertare un fatto – la dimora
abituale – e non a concedere uno status che il dpr n 223/89 (regolamento
anagrafico) all’art. 19 limita l’accertamento dell’l’ufficiale di anagrafe “a
verificare la sussistenza del requisito della dimora abituale”.
Ciò
premesso, a seguito del decreto Renzi Lupi le “famiglie impoverite” costrette a
vivere in immobili occupati “abusivamente”
· non
potranno più votare,
· non
potranno più iscrivere i figli a scuola,
· non
potranno più accedere all’assistenza del servizio sanitario,
· non
potranno più ottenere, se stranieri, la cittadinanza italiana
E per
altro non potranno avere più l’allaccio alle utenze di acqua, luce e gas e il
tutto SENZA CHE SIA PREVISTA PER ESSI NESSUNA ALTERNATIVA ALLOGGIATIVA se
non, letteralmente, trasferirsi sotto un ponte (ove essi – nuovo amaro
paradosso – continuerebbero ad avere il diritto alla residenza in base ai
principi giurisprudenziali sopra richiamati)
E
ciò non solo in contrasto con la nostra Costituzione – anzi con tutti i
principi cardine dello stato di diritto liberale precedente – ma anche con la
normativa comunitaria in materia prevedendo la Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione Europea (cd Carta di Lisbona) che“con l’obiettivo di combattere
povertà e esclusione sociale, l’Unione riconosce e rispetta il diritto alla
casa e all’housing sociale, al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a
tutti coloro che non siano in possesso delle risorse minime, in accordo alle
regole stabilite dalla legislazione Comunitaria e dalla legislazione e pratiche
internazionali” (Articolo 34.3 EUCFR). Ed essendo per altro tali
principi già sanciti dall’Articolo 13 della Carta Sociale dell’Unione Europea e
sugli Articoli 30 (che include l’obbligo a promuovere una serie di servizi,
compreso l’abitare) e 31 (che promuove l’accesso a un’abitazione di standard
adeguato per prevenire e ridurre il fenomeno della homelessness nella prospettiva
della graduale eliminazione della stessa e l’accessibilità dei prezzi per
coloro che non possiedano le risorse necessarie).
Con
il decreto Renzi – Lupi i poveri vengono espulsi dallo stato diritto
e privati del diritto basilare all’esistenza (in nessun altro modo è definibile
venire deprivati di acqua, luce, riscaldamento, diritti di elettorato,
assistenza medica, diritto all’istruzione e alla cittadinanza
italiana per gli stranieri). E questo francamente non può essere accettato.
Il
Forum Diritti Lavoro
· chiede
quindi che venga messo nella piattaforma della manifestazione del
12 aprile - come parte integrante alla lotta al Jobs act di cui al
decreto legge 34 del 20 marzo 2014 – anche l’art. 5 del decreto legge n. 47
del 28 marzo.
· E
si dichiara disponibile, nei propri modesti limiti, ad affiancare le famiglie
che vivono in alloggi abusivi nella lotta giudiziaria per affermare il proprio
basilare diritto ad esistere.
Roma
4.4.2013
*avvocati