di Paolo B. Vernaglione
“La vita
dei due genitori che mi erano capitati in sorte era talmente identificativa
nella loro scelta che tutto rientrava nello stesso calderone: l’idea era che
tutti, proprio tutti –maschi, femmine, matti, malati, bambini, bambini malati-
dovevano avere una possibilità per poter vivere la loro vita” (p.11)
Alberta Basaglia, Le nuvole di Picasso,
Feltrinelli, 2014
“Ma
tu non avevi paura dei matti?” “E tuo papà cosa diceva?”. Così scrive Alberta
Basaglia, figlia di Franca Ongaro e Franco Basaglia, in una delle 28 istantanee
che ne ritraggono infanzia e adolescenza, accanto ai genitori che “hanno
liberato i matti”.
In
questo prezioso libro, scritto insieme alla giornalista Giulietta Raccanelli,
oggi, Alberta, psicologa a Venezia, ieri bimba rivoluzionaria nella Gorizia del
primo e unico esperimento di nuova psichiatria culminato nella legge 180 che
abolisce il manicomio e istituisce l’assistenza psichiatrica, ricostruisce una
biografia della diversità il cui valore risiede nella tessitura testuale in cui
essa si dipana. Perché la costruzione di una memoria condivisa travalica la
vicenda personale per assumere, nel caso della liberazione dalla contenzione,
il senso storico-politico di una sovversione della soggettività.
Per
due motivi: uno interno alla vicenda “privata” dell’autrice che diviene
pubblica nel segno della differenza, dell’anomalìa di un gruppo familiare la cui
vita “era talmente identificata alla loro scelta” da costituire la texture di
un vissuto sperimentale nell’Italia dei primi anni Sessanta dello scorso ‘900.
Il secondo motivo consiste nell’eversione dell’ordine della salute mentale ad
opera della “nuova” psichiatria. Nata dalla fenomenologia di Husserl e Banfi,
nel confronto continuo con Sartre, Goffman, Laing e Franz Fanon, la teoria di
Basaglia e di Franca Ongaro deriva direttamente da una pratica che si trasforma
in filosofia per evitare di rimanere invischiata nelle istituzioni della cura –
la cui storia coincide con l’ evoluzione della scienza a partire dal
positivismo medico nella seconda metà del XIX secolo.
Ecco,
nel secolo delle istituzioni disciplinari, famiglia, scuola, caserma, chiesa e
manicomio, ove lo Stato assume la sovranità sulla vita degli individui, scorre
sotterranea quella vita di uomini e donne “infami” raccontata da Michel
Foucault, in cui riconosciamo la critica alla neuropsichiatria come era
praticata da Esquirol, Heinroth, Pinel. Alla scadenza della prima modernità, di
cui le scienze umane avevano già realizzato l’archeologia, “Franco risultava
troppo ingombrante per la sua clinica universitaria di Padova”. Ragione per cui
viene “dimesso”, per sperimentare all’ospedale psichiatrico di Gorizia la
rivoluzione riuscita delle “open doors”, la comunità terapeutica e infine la
dissolvenza della costrizione e dell’isolamento, con la legge che porta il suo
nome.
Questa
storia, impossibile da raccontare alle generazioni più giovani se non riferita
alle altre due rivoluzioni riuscite, quella del ’68-’69 operaio e studentesco e
del femminismo, è già stata ricostruita negli scritti di Franco Basaglia e
Franca Ongaro, soprattutto in L’istituzione negata, introvabile a
causa delle orrende scelte censorie della grande editoria. “Il vostro libro è
bellissimo e molto importante. È uno dei rarissimi esempi di libro che vive
delle tensioni che si producono al suo interno, si sostiene sulle sue stesse
tendenze autodistruttive”, scriveva Giulio Bollati, curatore Einaudi nel ’68.
Mancando il testo vivo di quell’esperienza di liberazione dalle catene, le
corde, l’elettroshock e le camicie di forza, chi vorrà leggere Le
nuvole di Picasso può valersi dell’Utopia
della realtà, raccolta di scritti a cura di Franca Ongaro in cui la
rivoluzione psichiatrica si fa testo nell’esperienza di una generazione, quella
di Paolo Pietrangeli, di TV7 e di Carosello.
Quest’opera,
che oggi sembra non aver avuto luogo, consta di due momenti, che nel libro di
Alberta sono chiusi in una chiara sintesi narrativa: quella della triade delle
posizioni esistenziali del soggetto di fronte al “sé” e alla realtà (scelta
intenzionale, malafede, nevrosi) – in cui si disloca una prassi di
soggettivazione, della corporeità e dell’istituzione medico-psichiatrica); e
quella del disciplinamento, da cui fuoriescono, a partire dal lavoro dei
Basaglia nella seconda metà degli anni Sessanta, il momento sociale del male
psichico e l’analisi della struttura del disagio.
Al
limite del pensiero fenomenologico, nella fase iniziale dell’esperienza di
sovversione dell’ospedale psichiatrico, il campo psicoanalitico e la storia
delle istituzioni della violenza sono assunti per aprire la via alla
storificazione del “malato psichico” e alla sua risoggettivazione. In questa
pratica teorica si specchia la coerenza fattuale illustrata nel saggio
introduttivo a Crimini di pace (1975), che scandisce le tappe
del lavoro intrapreso: il manicomio come luogo di contenimento delle devianze
di comportamento; la segregazione come risposta ai bisogni della società; il
rifiuto dei “tecnici della malattia” di identificare mandato della scienza e
mandato sociale.
Smascherare
pazzi, malati, ritardati, delinquenti come profili naturali; individuare la
critica della scienza come campo fenomenico di resistenza; criticare i processi
ideologici in capo a intellettuali e tecnici; rifiutare il ruolo e la delega,
dentro l’ospedale; individuare assieme ai “malati” psichici chi è oggetto di
manipolazione; distruggere il paradigma del normale e del patologico attribuito
dalle scienze umane ad una certa configurazione antropologica. Tutto questo è
opera compiuta. Le nuvole di Picasso contribuiscono a
recuperare il filo di lana con cui, nel presente, è ancora più urgente
continuare a tessere la rivoluzione.