di
Claudio Conti
“In
questi anni, a cosa è servita la concertazione? L’età pensionabile si è alzata,
l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori se ne è andato, mentre ci siamo tenuti
l’art. 8, quello sulla derogabilità dei contratti. E allora il problema non è
chi sta o non sta con Renzi, ma cosa fa la Cgil”
Qualcuno
aveva sperato che in sede di congresso Fiom - dopo una lunga e numericamente
non vincente battaglia congressuale, cui aveva partecipato proponendo soltanto
“emendamenti” e non un testo alternativo – Maurizio Landini avrebbe un po'
attenuato i toni polemici nei confronti di Susanna Camusso.
Non
è andata così. Fin dagli inviti agli altri sindacati, che hanno coinvolto per
la prima volta anche i “dannati” dell'Usb, la confederazione “di base” contro
cui ogni categoria di Cgil-Cisl-Uil è tenuta ad adottare misure di isolamento
totale. E che invece è stata accolta in modo amichevole e niente affatto
“concorrenziale”.
Soprattutto
i temi toccati nelle due ore e quaranta minuti di relazione introduttiva sono
stati uno choc per i “camussiani” interni – il “segretario generale” della
confederazione, come ama essere chiamata, arriverà soltanto domani, giornata
conclusiva – senza una sola concessione alle posizioni della maggioranza.
Uno
schifo mostruoso è stato giudicato il “testo unico” sulla rappresentanza,
quello siglato il 10 gennaio – senza alcun mandato, neppure da parte del Direttivo
Nazionale – insieme a Cisl, Uil e Confindustria. Le critiche stavolta hanno
coperto l'intera struttura del testo, che andrebbe secondo Landini sostituito
invece da una vera e propria legge, naturalmente su basi ben diverse. Non sono
più, dunque, “inaccettabili” soltanto le sanzioni per chi sciopera o contesta
gli accordi sottoscritti da altri, non più solo la “commissione arbitrale”
(composta quasi soltanto da “nemici” dei lavoratori), ma la stessa concezione
della “rappresentanza sindacale”.
Tutto
sbagliato anche nel documento congressuale, che pure Landini e la maggioranza
della Fiom avevano obtorto collo sottoscritto, accompagnandolo
appunto con diversi emendamenti. Tutto sbagliato nelle scelte della segreteria
all'epoca della concertazione: “In questi anni, a cosa è servita la
concertazione? L’età pensionabile si è alzata, l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori
se ne è andato, mentre ci siamo tenuti l’art. 8, quello sulla derogabilità dei
contratti. E allora il problema non è chi sta o non sta con Renzi, ma cosa fa
la Cgil”. La risposta la sanno tutti, è implicita: la Cgil non ha fatto e non
fa nulla per ostacolare questo andazzo. E non possono essere considerate certo
una “risposta” all'altezza dei problemi quelle famose tre ore di sciopero – a
fine turno, per di più – di oltre un anno fa.
Quanto
alle modalità di gestione della stessa Cgil, da parte della Camusso, tutto si
può riassumere in una sola domanda, accolta peraltro da un autentico boato di
approvazione da parte della platea dei delegati di fabbrica: “A che cosa serve,
a questo punto, una confederazione?”.
C'è
dentro tutto. L'incazzatura per le modifiche statutarie – riversate persino nel
“testo unico” di gennaio – sulla cancellazione dell'autonomia contrattuale
delle categorie. La rabbia per una “gestione truffaldina” - definizione
letterale - del congresso e delle votazioni, così palesemente manipolate e
falsate da rendere ridicola ogni pretesa di “democrazia interna”.
I
dirigenti dell'Usb presenti, alla fine, si son detti quasi scherzando che “al
90% poteva esser letta anche al nostro congresso”. Ma è stato chiaro a tutti –
basta vedere le reazioni stizzite di alcuni camussiani di provata fede, negli
articoli online ma non solo – che per la Fiom si tratta di una svolta politica
ragionata e niente affatto improvvisata. Una svolta inevitabile per reagire
alle minacce esplicite della segreteria confederale (il quesito posso alla
Commissione di garanzia già in gennaio, ovvero se Landini fosse sanzionabile
per critiche pubbliche espresse contro il “testo unico”). Minacce che peraltro
preannunciano quasi scopertamente un possibile “commissariamento” dei metalmeccanici
e un confinamento dello stesso Landini in qualche “cimitero degli elefanti”
controllato da Corso Italia.
Qualcuno
potrebbe a questo punto chiedersi: “ma così facendo Landini stesso si mette
fuori dalla maggioranza e quindi si espone a sanzioni più dure”. Gli inviti “a
sorpresa”, in parte, rispondono perciò allo scopo di far vedere che “c'è vita
anche fuori dalla Cgil”; e che le minacce di espulsione da Corso Italia non
equivalgono affatto alla morte politico-sindacale. Non tanto e non solo per la
figura individuale di Landini, quanto per le centinaia di migliaia di iscritti
e militanti della Fiom.
Il
problema politico da tener presente, dunque, non è “cosa farà poi Landini”, ma
cosa faranno i metalmeccanici che ancora stanno nel cono d'ombra della Cgil.
Una
chiave possibile – senza illusioni di rovesciamenti immediati, sia chiaro – sta
nella risposta polemica che molti, in Fiom, danno a chi chiede loro se hanno
paura di essere buttati fuori da Corso Italia: “la Fiom è stata fondata nel
1901, la Cgil nel 1906; e l'abbiamo fondata noi”.
C'è
vita nel conflitto e nel radicamento sociale, insomma, non in un palazzo ormai
sordo alle ragioni di chi pretende di “rappresentare”. E ogni nuova vita
comincia con la rottura dei vecchi equilibri.