di
Danilo Mariscalco
Presentiamo
la premessa del volume
Dai laboratori alle masse. Pratiche artistiche e comunicazione nel movimento
del ’77, edito da Ombre Corte (2014). Il libro propone un’analisi sulle forme dell’antagonismo
liberato dal peso della tradizione del movimento operaio ufficiale e dentro le quali si intrecciano nuovi linguaggi, scritture e
nuovi strumenti di comunicazione. Ma soprattutto ciò che la ricerca intende mostrare
è la possibile benjaminiana “intesa segreta” del movimento autonomo dell’operaio
sociale con i soggetti biopolitici della moltitudine contemporanea
Oggetto
dell’analisi è la produzione culturale del cosiddetto “movimento del ’77”
italiano. La sua individuazione è il frutto di un generale impegno teorico che
partigianamente si accosta ai frammenti ereditati dalle pratiche in vario modo
antagoniste ai rapporti sociali dominanti nella storia; di una semplice
“inclinazione”, si potrebbe sospettare, che però si avvale del conforto
scientifico idealmente offerto da significative esperienze degli “studi
culturali” internazionali. Queste, sulla falsariga della filosofia della praxis
di Antonio Gramsci dalla quale ricavano utili strumenti d’indagine, riconoscono
più o meno esplicitamente nella categoria e nella condizione reale di
subalternità la camera ottica per mezzo della quale è possibile
tratteggiare i lineamenti di ogni “scienza della cultura” che si proponga con
intenzionale efficacia nei processi sociali di trasformazione ed emancipazione.
Il fecondo confronto coinvolgente i teorici della subalternità, per il cui
approfondimento si rimanda a un esaustivo saggio di Marcus Green[1],
in parte è ruotato intorno alle riflessioni, condensate nel noto interrogativo
di Gayatri Chakravorty Spivak[2], sulle capacità di rappresentazione
dei gruppi sociali subalterni. Non si vagheggia, nel presente lavoro,
un’interpretazione che riduca la polisemia caratterizzante il termine
gramsciano; ogni concetto, nel paradigma marxiano da esso evocato, è
un’astrazione che sussume diverse determinazioni[3] e che impone in
ogni suo utilizzo un confronto costante con “la differenza reale”[4].
Il “caso” esposto nelle seguenti pagine offre una risposta affermativa alla
domanda spivakiana nella misura in cui questa presuppone il carattere
storicamente determinato dei fenomeni sociali e l’importanza scientifica di
definizione delle contingenze agenti nella loro affermazione; nella misura in
cui esclude ogni inappagabile richiesta di leggi sociali universali. L’analisi
ha prodotto precisazioni storiche e concettuali, (ri)costruzioni di oggetti,
considerazioni sulle condizioni sociali di emersione dei fenomeni intercettati;
tali risultati, nell’ordine generale sovraesposto, sono presentati nei seguenti
capitoli[5] e si offrono a una fruizione che, in questa introduzione
alla lettura, deve essere informata sulla parzialità “determinata” dei
materiali esaminati: la produzione culturale del ’77 non può in alcun modo
sintetizzare le diverse pratiche del movimento suo artefice; ciononostante in
essa possono essere individuate le qualità specifiche di emergenti soggettività
antagoniste, la loro capacità di autorappresentazione, una tendenza sociale.
Essa si configura, profanando le “osservazioni sul metodo” di Marx, come “una
luce generale che si effonde su tutti gli altri colori modificandoli. [...] una
atmosfera particolare che determina il peso specifico di tutto quanto essa
avvolge”[6].
Un’ultima
avvertenza è suggerita all’esposizione dagli studi sulla produzione cosiddetta
artistica “educati” sul materialismo storico. Quando Enrico Castelnuovo
definiva il proprio metodo d’indagine concludeva la serie dei livelli di
analisi con la “critica delle ideologie del presente”[7], ovvero
con la pratica autoriflessiva attraverso la quale “il ricercatore deve [...]
considerare la propria situazione sociostorica ed esistenziale, analizzare il
proprio ‘orizzonte’, l’origine e la funzione degli strumenti di cui si serve”[8]. In questa prospettiva il rapporto intercorrente tra il prodotto della
ricerca e le recenti emersioni, anche in Italia, di movimenti sociali
antagonisti è innegabile. Alcune ipotesi, sviluppate nelle seguenti pagine,
trovano fondamento, oltre che negli specifici oggetti raccolti, anche in una
partecipazione a quegli eventi che, se non altro, hanno problematizzato diffuse
convinzioni sulla “fine” del conflitto capitale/lavoro-sapere sociale. La
critica si confonde con la politica e “accademicamente” si espone, come
ricorderà chi si è imbattuto nei giudizi di Ernst Gombrich sulla “storia
sociale” di Arnold Hauser, ai sospetti di debolezza scientifica[9].
Il passato si piega al presente violando la tanto comunemente auspicata, quanto
improbabile, “obiettività” della ricerca[10]. Operazioni
teorico-pratiche sulle quali Walter Benjamin, forse per le urgenze dettate
dalla persecuzione, erigeva il proprio impegno intellettuale. Presentando a
Horkheimer le indagini preparatorie del proprio studio sui passages parigini
egli scriveva: “Si tratta [...] di determinare il luogo esatto del presente a
cui la mia costruzione storica si riferirà come al suo punto prospettico”[11]. Questa, nell’ipotesi benjaminiana, deve infatti rompere con ogni forma
di Historismus e corrispondere, “praticamente”, al processo di trasformazione
sociale che, affermandosi, riscatta “nel” passato i dominati e la tradizione
culturale:
“La
lotta di classe, che è sempre davanti agli occhi dello storico educato su Marx,
è una lotta per le cose rozze e materiali, senza le quali non esistono quelle
più fini e spirituali. Ma queste ultime sono presenti, nella lotta di classe,
in altra forma che non sia la semplice immagine di una preda destinata al
vincitore. Esse vivono, in questa lotta, come fiducia, coraggio, umore,
astuzia, impassibilità, e agiscono retroattivamente nella lontananza dei tempi.
Esse rimetteranno in questione ogni vittoria che sia toccata nel tempo ai
dominatori. Come i fiori volgono il capo verso il sole, così, in forza di un
eliotropismo segreto, tutto ciò che è stato tende a volgersi verso il sole che
sta salendo nel cielo della storia. Di questa trasformazione, meno appariscente
di ogni altra, deve intendersi il materialista storico”[12].
Il
presente studio, nelle sue intenzioni scientifiche, muove da tali premesse.
[1]
Marcus E. Green, Gramsci Cannot Speak: Presentations and Interpretations of
Gramsci’s Concept of the Subaltern, in “Rethinking Marxism”, 14, 3 (2002);
trad. it. Sul concetto gramsciano di “subalterno”, in Giuseppe Vacca e
Giancarlo Schirru, Studi gramsciani nel mondo. 2000-2005, il Mulino, Bologna
2007, pp. 199-232. Il testo era stato presentato alla conferenza “Marxism 2000”
(University of Massachusetts, Amherst,
21-24 settembre 2000).
[2]
Cfr. Gayatri C. Spivak, Can the Subaltern Speak?, in Cary Nelson e Lawrence
Grossberg (a cura di), Marxism and the Interpretation of Culture, University of
Illinois Press, Urbana-Chicago 1988, pp. 271-313. Il saggio è stato rielaborato
dalla stessa autrice nel terzo capitolo (“History”) del suo testo A critique of
Postcolonial Reason. Toward a History of the Vanishing Present, Harvard
University Press, Cambridge (Massachusetts)-London 1999; trad. it. Critica della ragione
postcoloniale. Verso una storia del presente in dissolvenza, Meltemi, Roma
2004, pp. 213-322.
[3]
Cfr. Karl Marx, Einleitung (1857), in “Die Neue Zeit”, xxi, 1, 1903; trad. it.
Introduzione alla critica dell’economia politica (1857), in Id., Per la critica
dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma 1957, pp. 187-195.
[4]
Ivi, p. 196.
[5]
In particolare il primo capitolo ospita i “limiti” storiografici e preliminari
definizioni concettuali. Nel secondo vengono sviluppate alcune considerazioni
sui principali paradigmi interpretativi che hanno accolto, già dal 1977, le
pratiche culturali del movimento. Il terzo espone i risultati di uno studio
relativamente “immediato” della produzione degli antagonisti. Nel capitolo
conclusivo viene infine formalizzata un’analisi dei corrispondenti fenomeni
sociali generali.
[6]
Marx, Introduzione alla critica dell’economia politica, cit., p. 193.
[7]
Enrico Castelnuovo, Il contributo sociologico, in “Quaderni de La ricerca
scientifica”, 106, 1980; ripubblicato in Id., Arte, industria, rivoluzioni.
Temi di storia sociale dell’arte, Scuola Normale Superiore, Pisa 2007, p. 89.
[8]
Ibidem.
[9]
Cfr. Ferdinando Bologna, I metodi di studio dell’arte italiana e il problema
metodologico oggi, in Storia dell’arte italiana, parte i: Materiali e problemi,
a cura di Giovanni Previtali, vol. i: Questioni e metodi, Einaudi, Torino 1979,
p. 261; cfr. anche Enrico Castelnuovo, Per una storia sociale dell’arte, i, in
“Paragone”, 313 (1976); ripubblicato in Id., Arte, industria, rivoluzioni,
cit., pp. 23-49.
[10]
“Gombrich [...] allo Hauser rimproverò, tra l’altro, proprio di aver voluto
inquadrare il passato alla luce del presente; anzi, di non essersi interessato
al passato ‘for its own sake’, bensì di aver trasferito taluni parametri di
giudizio dal terreno politico attuale a quello storico [...]. Ad un rimprovero
del genere [...] non si può non ribattere [...]. Innanzitutto perché, pur
ostentando un’esigenza di neutrale obiettività storiografica, in realtà è
politico anch’esso, e nel modo più regrediente: la neutralità ideologica è
sempre il segno della solidarietà, per quanto taciuta, con il partito più
conservatore” (Bologna, I metodi di studio dell’arte italiana e il problema
metodologico oggi, cit., p. 261).
[11]
WalterBenjamin, Brief an Max Horkheimer (16.10.1935) in Id., Briefe, a cura di
Gershom Scholem e Theodor W. Adorno, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1966; trad.
it. Lettera a Max Horkheimer, in Id., Lettere 1913-1940, raccolte e presentate
da Gershom Scholem e Theodor W. Adorno, Einaudi,Torino 1978, p. 312. Tali
indagini saranno formalizzate da Benjamin nel saggio L’œuvre d’art à l’époque
de sa reproduction mécanisée, in “Zeitschrift für Sozialforschung”, 5 (1936);
trad. it. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, in Id.,
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di
massa, Einaudi, Torino 1991, pp. 17-56.
[12]
Walter Benjamin, Über den Begriff der Geschichte (1940), in Walter Benjamin zum
Gedächtnis, Institut für Sozialforschung, Los Angeles 1942; trad. it. Tesi di
filosofia della storia, in Id., Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di
Renato Solmi, Einaudi, Torino 1995, pp. 76-77.