domenica 16 febbraio 2014

L’avventura della filosofia francese

di Dario Gentili

Questo è il momento filosofico francese, il suo programma e la sua grande ambizione. Credo tradisca un desiderio essenziale. Un’identità, persino quella di un momento filosofico, non è forse l’identità di un desiderio? Sì, vi era e vi è un desiderio essenziale di fare della filosofia una scrittura attiva, cioè lo strumento e il viatico di un nuovo soggetto. E di conseguenza il desiderio di fare del filosofo qualcosa di diverso dal saggio, il desiderio di farla finita con l’immagine meditativa, professorale e riflessiva del filosofo.
Fare del filosofo qualcosa di diverso dal saggio significa farne qualcosa di diverso da un semplice rivale del prete: farne uno scrittore agguerrito, un artista del soggetto, un amante della creazione. Scrittore agguerrito, artista del soggetto, amante della creazione, militante filosofico, sono termini che esprimono il desiderio che ha attraversato questo periodo, e che voleva che la filosofia agisse in nome proprio.
Credo che la filosofia francese della seconda metà del XX secolo, cioè il momento filosofico francese, abbia proposto alla filosofia di preferire il cammino piuttosto che la conoscenza della meta, l’azione e l’intervento filosofico piuttosto che la mediazione e la saggezza. è stata quindi una filosofia senza saggezza, come le si rimprovera oggi puntualmente.
Quel che abbiamo desiderato non era dunque una separazione netta tra vita e concetto, né la sottomissione dell’esistenza in quanto tale all’idea o alla norma, ma che il concetto stesso fosse un cammino del quale non si conosce il punto d’arrivo. E la filosofia doveva chiarire per quali ragioni questo cammino, sul quale si decide di mettersi e la cui meta è in parte aleatoria e oscura, è giustamente – vale a dire: in conformità con la giustizia – quello lungo il quale bisogna ingaggiarsi.
Sì, la filosofia del momento di cui si detto è, è stata, l’accettazione dell’idea, imperativa e razionale, di un sentiero oscuro verso la giustizia – nel mio lessico: verso una verità – che l’epoca ci invita a costruire nel momento stesso in cui decidiamo di avventurarvici.
Ragion per cui possiamo dire che vi è stato in Francia, nel corso del XX secolo, un momento di avventura filosofica istruttivo per l’umanità nel suo insieme. 
(Dalla Prefazione di Alain Badiou, L’avventura della filosofia francese. Dagli anni Sessanta, DeriveApprodi, pp.200, 2013)


Dopo Piccolo pantheon portatile (2008; trad. it. 2010), Alain Badiou torna a dedicare un libro – stavolta ancor più esplicitamente – alla “filosofia francese contemporanea”. Nell’Introduzione a L’avventura della filosofia francese, è lo stesso autore a suggerire il nesso tra i due testi: “Chiedo del resto al lettore di considerare il volume qui presente e il Piccolo Pantheon come un unico insieme”(p. 5).
In effetti, entrambi i libri hanno in comune il fatto di raccogliere scritti – spesso d’occasione – su filosofi e pensatori francesi della seconda metà del secolo scorso, lungo un arco temporale che, per citare i due “pilastri” individuati dallo stesso Badiou, procede da L’Essere e il Nulla di Sartre (1943) all’ultimo libro di Deleuze, Che cos’è la filosofia? (1991). Gli stessi saggi che compongono i due libri – soprattutto il secondo, L’avventura della filosofia francese – coprono anch’essi un arco di tempo piuttosto ampio, dagli anni Sessanta a oggi. Infine, a dimostrare che quello di Badiou non è affatto un intento manualistico, quanto piuttosto “programmatico” – “un momento filosofico si definisce attraverso un programma di pensiero”(p. 15) –, diversi pensatori presi in considerazione ricorrono in entrambi i libri: Deleuze, Canguilhem, Sartre, Althusser, Lyotard, F. Proust.
Eppure, nonostante la chiave suggerita dallo stesso autore, i due libri presentano anche differenze importanti. Piccolo pantheon portatile, infatti, è dedicato alla memoria di filosofi scomparsi – tant’è vero che la gran parte dei testi sono vere e proprie commemorazioni –, dove è prevalente la partecipazione personale. Si tratta di un pantheon, certo, ma esso è “piccolo e portatile”. Diverso è il caso di L’avventura della filosofia francese, che non solo tratta anche di viventi (Nancy, Rancière, Jambet, Cassin), ma, già a partire dal titolo, dichiara la portata maggiore della sua ambizione, ribadita poi nell’Introduzione: “battezzerò ‘filosofia francese contemporanea’ quel momento filosofico francese il quale, essenzialmente situato nella seconda metà del XX secolo, può paragonarsi, per ampiezza di respiro e novità, tanto al momento greco classico quanto al momento dell’idealismo tedesco”(p. 6).

Per fugare fin da subito ogni possibile interpretazione in chiave “nazionale” o ancor peggio “nazionalista” del “programma” di Badiou, la filosofia francese della seconda metà del XX secolo rappresenta una determinata congiuntura storica, politica e culturale – un “momento”, per dirla con Badiou che a sua volta riprende l’espressione da Frédéric Worms – della filosofia tout court. Infatti, il momento della filosofia francese consiste nella diversa declinazione di un rapporto che caratterizza la filosofia in quanto tale: il rapporto tra “vita e concetto”. La problematizzazione di tale rapporto non ha ovviamente avuto origine in Francia in quel determinato arco di tempo, tant’è vero che Badiou riconosce come sia stato dalla Germania – Nietzsche, Husserl, Heidegger, giusto per fare qualche nome – che i filosofi francesi l’abbiano assunto.
Ma ci si potrebbe legittimamente chiedere – cosa che Badiou non fa esplicitamente, anzi rintraccia in Descartes l’antesignano “francese” della loro distinzione e del loro rapporto – se “vita e/o concetto” non sia il campo di tensione originario che costituisce la filosofia stessa e la sua stessa possibilità di poter attingere costantemente e differentemente – ogni volta in congiunture storicamente determinate – a questa sua “origine”.
Secondo Badiou, il momento della filosofia francese contemporanea ha declinato il rapporto tra vita e concetto facendo come proprio perno la “questione del soggetto”, in quanto è nel soggetto umano – corpo vivente e creatore di concetti – che convergono l’orientamento esistenzialista-fenomenologico e quello scientifico-gnoseologico. La tensione verso la vita, verso il fuori di sé e l’esteriorità, caratterizza anche altre “operazioni filosofiche” che Badiou attribuisce alla filosofia francese contemporanea e che ne definiscono l’originalità: l’impegno politico, che denota un nuovo e diverso rapporto tra concetto e azione; lo stile espressivo, che spinge la scrittura filosofica a sconfinare nella letteratura.
Mentre queste due operazioni filosofiche hanno trovato nel corso della storia già diverse declinazioni, è un’altra l’operazione che effettivamente trova una sua peculiarità nel momento francese della filosofia: il rapporto con la psicanalisi. È indubitabile che il rapporto con la psicanalisi abbia inaugurato una declinazione propria della questione del soggetto, ancora gravida di conseguenze. L’insieme di tutte queste operazioni filosofiche costituiscono per Badiou il “programma di pensiero” della filosofia francese contemporanea.
Ed è proprio tale questione programmatica – non quindi la condivisione di una teoria o di un sistema – a rappresentare quell’elemento comune che, pur tra differenze, polemiche e conflitti insanabili tra i diversi approcci, permette di poter parlare di “filosofia francese contemporanea”. Badiou non dissimula né sminuisce né attutisce i motivi di dissidio con i suoi interlocutori come se l’elemento in comune dovesse risultare da una sorta di conciliazione o superamento delle differenze. Anzi, il conflitto e la differenza è, in un programma di pensiero, quanto più accomuna: “ciò di cui abbiamo più bisogno è ciò che meno ci somiglia, e in verità ciò che meno si somiglia è ciò che meglio si appariglia” (p. 143).