di Alex Williams/Nick Srnicek
“il capitalismo non può essere identificato come
l’agente della vera accelerazione. Ma allo stesso modo valutare la politica di
sinistra come antitetica all’accelerazione tecnosociale è, almeno in parte, una
grave travisamento. Se davvero la sinistra vuole avere un futuro, deve essere
quello in cui essa stessa abbracci al massimo la sua repressa tendenza
accelerazionista”
1.
Crediamo che la distinzione più importante della sinistra di oggi si trovi tra
coloro che si attengono ad una politica del senso comune [folk politics]
basata su localismo, azione diretta ed inesauribile orizzontalismo e coloro che
delineano ciò che deve dovrebbe chiamarsi una politica accelerazionista,
a proprio agio con una modernità fatta di astrazione, complessità, globalità e
tecnologia. I primi si ritengono soddisfatti con la creazione di piccoli spazi
temporanei di relazioni sociali non capitalistiche, evitando i problemi reali
connessi a nemici che sono intrinsecamente non locali, astratti, e
profondamente radicati nelle infrastrutture di tutti i giorni. Il fallimento di
tale politica è si trova fin dal principio costruito al suo interno. Al
contrario, una politica accelerazionista cerca di preservare le conquiste del
tardo capitalismo, e allo stesso tempo di andare oltre ciò che il suo sistema
di valore, le sue strutture di governance e le sue patologie di massa
permettano.
2.
Tutti noi vogliamo lavorare meno. Sarebbe interessante sapere perché il più
importante economista del mondo del dopoguerra credeva che un capitalismo
illuminato si sarebbe inevitabilmente evoluto con una radicale riduzione delle
ore di lavoro. In Prospettive economiche per i nostri nipoti (scritto
nel 1930), Keynes predisse un futuro capitalista in cui le persone avrebbero
ottenuto un orario di lavoro ridotto a tre ore al giorno. Quello che è invece
successo è una graduale eliminazione della separazione tra lavoro e vita, con
il lavoro che arriva a permeare ogni aspetto della fabbrica sociale emergente.
3.
Il capitalismo ha iniziato a reprimere le forze produttive della tecnologia, o
almeno, a dirigerle verso fini inutilmente limitati. Le guerre dei brevetti e
la monopolizzazione delle idee sono fenomeni contemporanei che indicano sia il
bisogno del capitale di superare la concorrenza, ma soprattutto l’approccio
sempre più retrogrado del capitale alla tecnologia. Le conquiste propriamente
accelerative del neoliberismo non hanno comportato meno lavoro e meno stress. E
piuttosto che in un mondo di viaggi spaziali, choc futuristici
e potenziale tecnologico rivoluzionario, viviamo in un tempo in cui l’unica
cosa che si sviluppa sono gadget per consumatori leggermente
migliorati. Riproduzioni implacabili dello stesso prodotto di base sostengono
la domanda marginale al consumo a scapito dell’accelerazione umana.
4.
Non vogliamo tornare al fordismo. Non ci può essere un ritorno al fordismo.
L’età d’oro capitalista si basava sul paradigma di produzione dell’ordinato
ambiente di fabbrica, dove il lavoratore (maschio) riceveva sicurezza e uno
standard di vita minimo in cambio di noia mortificante e repressione sociale.
Tale sistema si appoggiava ad una gerarchia internazionale fatta di colonie,
imperi, e periferie sottosviluppate; una gerarchia nazionale di razzismo e
sessismo; e una rigida gerarchia familiare di sottomissione femminile. Per
tutta la nostalgia che molti possano provare, questo regime è tanto
indesiderabile quanto il suo ritorno praticamente impossibile.
5.
Gli accelerazionisti intendono liberare le forze produttive latenti. In questo
progetto, la piattaforma materiale del neoliberismo non ha bisogno di essere
distrutta. Ha bisogno di essere riconvertita verso obiettivi
comuni. L’infrastruttura esistente non è una fase del capitalismo da
distruggere, ma un trampolino di lancio verso il post-capitalismo.
6.
Data la riduzione della tecnoscienza a schiava degli obiettivi capitalistici
(specialmente a partire dalla fine degli anni ‘70), sicuramente non sappiamo
ancora cosa un corpo tecnosociale moderno può. Chi tra di noi intravede quali
potenzialità inutilizzate si nascondono nelle tecnologie già create? La nostra
scommessa è che le vere potenzialità trasformative di molta della nostra
ricerca tecnologica e scientifica rimangano inutilizzate e riempite di
funzionalità attualmente ridondanti (o preadattamenti), le quali,
se spostate oltre il miope socius capitalista, possono
risultare decisive.
7.
Vogliamo accelerare il processo dell’evoluzione tecnologica. Ma ciò di cui
argomentiamo non è tecno-utopismo. Mai credere che la tecnologia sia sufficiente a
salvarci. Necessaria sì, ma mai sufficiente senza azione socio-politica. La
tecnologia e il sociale sono intimamente legati l’uno all’altra, e il mutamento
dell’uno potenzia e reinforza il mutamento dell’altra. Laddove i tecno-utopisti
sostengono che l’accelerazione automaticamente eliminerà il conflitto sociale,
la nostra posizione è che la tecnologia debba essere accelerata proprio perché
necessaria per vincere i conflitti sociali stessi.
8.
Crediamo che qualsiasi post-capitalismo richieda una pianificazione
post-capitalista. La fiducia nell’idea per cui, dopo la rivoluzione, la gente
costituirà spontaneamente un nuovo sistema socioeconomico che non sarà un
semplice ritorno al capitalismo, nel migliore dei casi è dettata da ingenuità e
nel peggiore è dettata da ignoranza. Per superare questo problema, dobbiamo
sviluppare sia una mappa cognitiva del sistema esistente, sia una immagine
speculativa del futuro sistema economico.
9.
Per fare questo, la sinistra deve approfittare di ogni progresso tecnologico e
scientifico reso possibile dalla società capitalista. Dichiariamo che la
quantificazione in sé non è un male da eliminare, ma uno strumento da
utilizzare nel modo più efficace possibile. La modellizzazione economica è, in
poche parole, una necessità per rendere intelligibile un mondo complesso. La
crisi finanziaria del 2008 rivela i rischi provenienti dall’aver accettato
ciecamente e sulla fiducia alcuni modelli matematici, ma questo è un problema
di autorità illegittima, non un problema della matematica stessa. Gli strumenti
che si ritrovano nell’analisi dei social network, nei modelli agent-based,
nell’analisi dei big data e nei modelli economi di
non-equilibrio, sono necessari mediatori cognitivi per capire sistemi complessi
come l’economia moderna. La sinistra accelerazionista deve educarsi e diventare
erudita in questi campi tecnici.
10.
Qualsiasi trasformazione della società deve coinvolgere sperimentazione
economica e sociale. Il progetto cileno Cybersyn è emblematico di un simile
atteggiamento sperimentale, fondendo tecnologie cibernetiche avanzate con
sofisticati modelli economici e una piattaforma democratica materializzata
nella sua stessa infrastruttura tecnologica. Esperimenti simili furono condotti
negli anni ’50 e ’60 anche nell’economia sovietica: la cibernetica e la
programmazione lineare furono impiegate nel tentativo di superare i nuovi
problemi affrontati della prima economia comunista. Che entrambi gli
esperimenti non abbiano avuto successo si può ricondurre ai vincoli politici e
tecnologici in cui questi pionieri cibernetici operavano.
11.
La sinistra deve sviluppare egemonia sociotecnologica: sia nella sfera delle
idee, che nella sfera delle piattaforme materiali. Le piattaforme sono
l’infrastruttura della società globale. Esse stabiliscono i parametri di base
di ciò che è possibile: sia sul piano comportamentale che su quello ideologico.
In questo senso, incarnano i trascendentali materiali della società: sono ciò
che rende possibile un determinato insieme di azioni, relazioni e poteri.
Nonostante gran parte dell’attuale piattaforma globale è orientata a favorire
rapporti sociali capitalistici, questa necessità non è inevitabile. Le
piattaforme materiali della produzione, della finanza, della logistica e del
consumo possono e devono essere riprogrammate e riformattate verso fini
post-capitalistici.
12.
Non crediamo che l’azione diretta sia sufficiente per raggiungere alcuno di
questi obiettivi. Le abituali tattiche di manifestazione, come marciare e
mostrare slogan, e la creazione di zone temporaneamente autonome, rischiano di
diventare sostituti di comodo a successi effettivi. “Almeno abbiamo fatto
qualcosa” è il grido di battaglia di coloro che privilegiano l’autostima piuttosto
che una efficace azione. L’unico criterio che definisce una buona tattica è se
con essa si ottiene o meno successo. Dobbiamo finirla con il feticismo di modi
d’azione troppo particolari. La politica deve essere trattata come un insieme
di sistemi dinamici attraversati dal conflitto, da adattamenti e
contro-adattamenti, da strategiche corse agli armamenti. Questo significa che
ogni forma di azione politica individuale perde la sua efficacia nel tempo,
perché la controparte si adatta ad essa. Nessuna forma di azione politica è
storicamente inviolabile. In realtà, col tempo, diventa sempre più necessario
abbandonare tattiche di lotta tradizionali, perché le forze e le entità che si
desidera sconfiggere imparano a difendersi e a contrattaccare in modo efficace.
È nell’incapacità della sinistra contemporanea di operare in questo senso che
si trova in parte il cuore del malessere contemporaneo.
13.
Il privilegio eccessivo dato alla “democrazia come processo” deve essere
lasciato alle spalle. Il feticismo per l’apertura, l’orizzontalità e
l’inclusione di molta della sinistra ‘radicale’ contemporanea ha posto le basi
della sua inefficacia. Anche la segretezza, la verticalità e l’esclusione tutte
hanno un loro posto in un’azione politica efficace (anche se, ovviamente, non
in maniera esclusiva).
14.
La democrazia non può essere definita semplicemente dai suoi mezzi — ovvero
tramite la pratica delle votazioni, del dibattito o delle assemblee generali.
La vera democrazia deve essere definita dal suo obbiettivo: emancipazione
collettiva e autogoverno. Questo è un progetto che deve allineare la politica
con l’eredità dell’Illuminismo, nella misura in cui solo dalla nostra capacità
di capire meglio noi stessi e il nostro mondo (sociale, tecnologico, economico,
psicologico) potremo arrivare a governare noi stessi. Dobbiamo stabilire una
autorità verticale legittima e collettivamente controllata insieme a modelli
sociali orizzontali e distribuiti, per evitare di diventare schiavi di un
centralismo totalitario e tirannico o, allo stesso modo, di un capriccioso
ordine che emerge sfuggendo al nostro controllo. Il comando del Piano deve
coniugarsi con l’ordine improvvisato dalla Rete.
15.
Non offriamo alcuna organizzazione specifica come mezzo ideale per incarnare
questi vettori. Quello di cui si ha bisogno, e di cui si è sempre avuto
bisogno, è una ecologia delle organizzazioni, un pluralismo di forze che
entrino in risonanza e che producano feedback reciproci
confrontando i propri punti di forza. Il settarismo è la condanna a morte della
sinistra tanto quanto il centralismo, e in questo senso continuiamo a dare il
benvenuto alla sperimentazione di tattiche diverse (anche di quelle con cui
siamo in disaccordo).
16.
Abbiamo tre obiettivi concreti a medio termine. In primo luogo, dobbiamo
costruire una infrastruttura intellettuale. Imitando la Mont Pelerin
Society della rivoluzione neoliberale, il suo compito sarà quello di
creare una nuova ideologia, nuovi modelli economici e sociali, ed una visione
di ciò che è giusto per sostituire e superare gli ideali emaciati che governano
il nostro mondo attuale. Stiamo parlando di una infrastruttura: ovvero
costruire non solo idee, ma anche istituzioni e percorsi concreti che
permettano di inculcare, incarnare e diffondere tali idee.
17.
Abbiamo bisogno di promuovere una riforma dei mezzi di comunicazione su larga
scala. Nonostante l’apparente democratizzazione che offrono internet e le reti
sociali, i mezzi di comunicazione tradizionali rimangono cruciali per
selezionare e definire narrazioni, assieme al possesso delle risorse economiche
necessarie per continuare a promuovere il giornalismo investigativo. Portare
questi organi il più vicino possibile al controllo popolare è cruciale per
disarticolare lo stato attuale delle cose.
18.
Infine, abbiamo bisogno di ricostituire varie forme di potere di classe. Tale
ricostituzione deve andare oltre l’idea che un proletariato globale
organicamente generato già esista. Si deve cercare invece di saldare assieme
una serie di identità proletarie parziali, spesso incarnate nelle forme
post-fordiste del lavoro precario.
19.
Alcuni gruppi e individui sono già al lavoro su questi obiettivi, ma ognuno in
sé non è sufficiente. Ciò che è necessario è che i tre obiettivi producano feedback a
vicenda, ciascuno modificando la congiunzione attuale in modo tale che gli
altri siano sempre più efficaci — un ciclo positivo di feedback della
trasformazione infrastrutturale, ideologica, sociale ed economica che generi
una nuova egemonia complessa, una nuova piattaforma tecnosociale
post-capitalista. La storia dimostra che è sempre stato un ampio assemblaggio
di tattiche e organizzazioni a determinare un cambiamento del sistema; queste
lezioni vanno apprese.
20.
Per raggiungere ognuno di questi obiettivi, a livello più pratico riteniamo che
la sinistra accelerazionista debba pensare più seriamente ai flussi di risorse
e denaro necessari alla costruzione di una nuova ed efficace infrastruttura
politica. Al di là della formula del people power e dei corpi
nelle strade, abbiamo bisogno di finanziamenti, sia da parte di governi che
istituzioni, think tank, sindacati o singoli benefattori. Riteniamo
che la localizzazione e l’indirizzamento di tali flussi di finanziamento sia
essenziale per iniziare a ricostruire una efficace ecologia delle
organizzazioni della sinistra accelerazionista.
21.
Dichiariamo che solo una politica prometeica che detenga la massima maestria
sulla società e il suo ambiente sia in grado tanto di affrontare i problemi
globali quanto di ottenere una vittoria sul capitale. Questa maestria deve
essere distinta da quella amata dai pensatori dell’Illuminismo originario.
L’universo meccanico di Laplace, così facilmente controllato date informazioni
sufficienti, è scomparso dall’agenda della conoscenza scientifica seria. Ma non
diciamo questo per allinearci con lo stanco residuo della postmodernità,
denunciando l’idea di maestria [mastery] come proto-fascista o
l’autorità come innatamente illegittima. Proponiamo invece che i problemi che
affliggono il nostro pianeta e la nostra specie ci obblighino a rinnovare
l’idea di maestria in una veste nuova e complessa; laddove non possiamo
prevedere il risultato esatto delle nostre azioni, possiamo comunque
probabilisticamente determinare degli intervalli di risultati probabili. Ciò
che deve essere abbinato a tali analisi dei sistemi complessi è una nuova forma
di azione: estemporanea e in grado di eseguire un disegno attraverso le
contingenze che scopre solo nel corso della sua attuazione, in una politica di
abilità geosociale e astuta razionalità. Una forma di sperimentazione abduttiva
che cerchi i migliori mezzi per agire in un mondo complesso.
22.
Abbiamo bisogno di rilanciare la tesi che tradizionalmente si enuncia a
proposito del post-capitalismo: non solo il capitalismo è un sistema ingiusto e
perverso, ma è anche un sistema che trattiene il progresso. Il nostro sviluppo
tecnologico è stato soppresso dal capitalismo tanto quanto è stato da esso
scatenato. L’accelerazionismo è la convinzione di fondo che queste capacità
possano e debbano essere liberate andando oltre i limiti imposti dalla società
capitalista. Il movimento verso un superamento delle nostre attuali costrizioni
deve includere più di una semplice lotta per una società globale più razionale.
Crediamo sia necessario includere anche il recupero dei sogni che catturarono
molti a partire dalla metà del diciannovesimo secolo fino agli albori dell’era
neoliberista, ovvero l’espansione dell’Homo Sapiens oltre i
limiti della terra e delle nostre forme corporee immediate. Queste visioni sono
oggi percepite come reliquie di una innocente era. Eppure diagnosticano la
sconcertante mancanza di fantasia nel nostro tempo, e offrono la promessa di un
futuro che è affettivamente rinvigorente oltre che intellettualmente
stimolante. Dopo tutto, solo una società post-capitalista resa possibile da una
politica accelerazionista sarà in grado di soddisfare le aspettative generate
dai programmi spaziali della metà del ventesimo secolo e andare al di là di un
mondo fatto di upgrade tecnici infinitesimali verso un
cambiamento onnicomprensivo. Verso un’epoca di auto-maestria [self-mastery]
collettiva, e verso un futuro propriamente alieno che essa
implica e rende possibile. Verso un completamento del progetto di autocritica e
automaestria dell’Illuminismo, piuttosto che verso la sua eliminazione.
23.
La scelta che abbiamo di fronte è severa: o un post-capitalismo globalizzato o
una lenta frammentazione verso il primitivismo, la crisi permanente e il
collasso ecologico planetario.
24.
Il futuro ha bisogno di essere costruito. È stato demolito dal capitalismo
neoliberista e ridotto ad una promessa al ribasso di maggiori disuguaglianze,
conflitto e caos. Questa crisi dell’idea di futuro è sintomatica della
situazione storica regressiva della nostra epoca, e non, come i cinici di tutto
lo spettro politico vorrebbero farci credere, un segno di maturità scettica.
Ciò che l’accelerazionismo propone è un futuro più moderno —
una modernità alternativa che il neoliberismo è intrinsecamente incapace di
generare. Il futuro deve essere infranto e riaperto ancora una volta,
sganciando i nostri orizzonti verso le universali possibilità del Fuori.
*Estratto dal saggio Manifesto per una politica accelerazionista (traduzione di Dario
Lovaglio e Matteo Pasquinelli)
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→ PDF Testo
originale in inglese: http://syntheticedifice.files.wordpress.com/2013/06/accelerate.pdf
Fonte:
Nick Srnicek e Alex Williams, ”Manifesto for an Accelerationist Politics”. In:
Jousha Johnson (a cura di), Dark Trajectories: Politics of the Outside.
Miami: Name, 2013