di
Slavoj Žižek
Alla fine
del 2012 il Fondo monetario internazionale ha pubblicato una ricerca in cui si
mostra come il danno economico di misure di austerity aggressive possa essere
fino a tre volte più grande di quanto era stato previsto, cancellando quindi i
suoi consigli sull’austerità nella crisi dell’eurozona. (estratto dal libro di Slavoj Žižek e Srécko Horvat (prefazione
di AlexisTsipras), Cosa vuole l’Europa? in
libreria in questi giorni per ombre corte)
In
una delle sue ultime interviste prima della caduta, un giornalista occidentale
ha chiesto a Nicolae Ceaușescu come potesse giustificare il fatto che i
cittadini rumeni non potevano viaggiare liberamente all’estero sebbene la
libertà di movimento fosse garantita dalla costituzione. La sua risposta
seguiva il meglio del sofisma stalinista: è vero, la costituzione garantisce la
libertà di movimento, ma garantisce anche il diritto del popolo a una patria
sicura e prospera. Abbiamo quindi un potenziale conflitto di diritti: se ai
cittadini rumeni fosse stato concesso di lasciare liberamente il paese, la prosperità
della patria sarebbe stata minacciata e sarebbe stato messo in pericolo il loro
diritto alla terra d’origine. In questo conflitto bisogna fare una scelta, e il
diritto alla prosperità e alla sicurezza della patria gode di una chiara
priorità…
Sembra
che lo stesso spirito del sofisma stalinista sia vivo e vegeto nella Slovenia
contemporanea dove, il 19 dicembre 2012, la Corte costituzionale ha rilevato
che un referendum sulla legislazione fatta per istituire una “bad bank” e sulla
partecipazione sovrana sarebbe stato incostituzionale, di fatto cancellando un
voto popolare sulla questione. Il referendum era stato proposto dai sindacati
contro la politica economica neoliberale del governo, e aveva ottenuto
abbastanza firme per essere obbligatorio. Vi era infatti l’idea di trasferire
tutti i crediti cattivi delle principali banche in una nuova “bad bank” che
sarebbe poi stata salvata dal denaro statale (cioè a spese dei contribuenti),
impedendo ogni seria indagine sui responsabili di questi crediti.
Perché
quindi proibire il referendum? Nel 2011, quando il governo greco di Papandreou
ha proposto un referendum sulle misure di austerity, c’è stato il panico a
Bruxelles, ma perfino in quel caso nessuno ha avuto il coraggio di proibirlo.
Secondo la Corte costituzionale slovena il referendum “avrebbe causato
conseguenze incostituzionali”. Insomma, nel valutare le conseguenze del
referendum, la Corte costituzionale ha semplicemente accettato come un fatto
indiscutibile le ragioni delle autorità finanziarie internazionali che stanno
facendo pressione sulla Slovenia affinché adotti ulteriori misure di austerity:
non obbedire ai diktat delle istituzioni finanziarie internazionali (ovvero non
soddisfare le loro aspettative), può condurre a una crisi politica ed economica
ed è quindi incostituzionale.
Forse
la Slovenia è un piccolo paese marginale, ma la decisione della sua Corte
costituzionale è il sintomo di una tendenza globale verso la limitazione della
democrazia. L’idea è che, in una situazione economica complessa come quella
odierna, la maggioranza della popolazione non sia qualificata per decidere: la
gente vuole solo mantenere i propri privilegi, ignara delle conseguenze
catastrofiche che si produrrebbero se le sue domande fossero soddisfatte.
Questa linea di argomentazione non è nuova.
Lungo
queste linee, Fareed
Zakaria ha sottolineato come la democrazia possa “prendere piede” solo
in paesi economicamente sviluppati: se i paesi in via di sviluppo sono
“prematuramente democratizzati”, il risultato è un populismo che finisce nella
catastrofe economica e nel dispotismo politico. Non c’è da stupirsi che i paesi
del Terzo mondo che hanno ottenuto i maggiori successi economici (Taiwan, Corea
del Sud, Cile) abbiano abbracciato la democrazia solo dopo un periodo di regime
autoritario. Questa linea di ragionamento non fornisce anche la migliore
argomentazione a favore del regime autoritario in Cina?
Con
il perdurare della crisi cominciata nel 2008, questa stessa sfiducia nella
democrazia, una volta limitata ai paesi in via di sviluppo del Terzo mondo o
post-comunisti, sta adesso prendendo piede negli stessi paesi occidentali
sviluppati. Quello che uno o due decenni fa era un consiglio paternalistico per
gli altri, ora riguarda noi stessi. Ma cosa succede se questa sfiducia è
giustificata? E se solo gli esperti possono salvarci, anche a costo di meno
democrazia? Il meno che si possa dire è che la crisi offre ampie prove di come
non sia la gente, ma gli stessi esperti a non sapere quello che stanno facendo.
Nell’Europa occidentale stiamo in effetti assistendo a una crescente incapacità
della classe dirigente: sempre meno sanno come dirigere.
Guardiamo
a come l’Europa sta affrontando la crisi greca, facendo pressione sulla Grecia
per ripagare i debiti, ma allo stesso tempo rovinando la sua economia con
l’imposizione di misure di austerity e rendendo perciò certo il fatto che il
debito greco non sarà mai ripagato. Alla fine del dicembre 2012 lo stesso Fondo
monetario internazionale ha pubblicato una ricerca in cui si mostra come il
danno economico di misure di austerity aggressive possa essere fino a tre volte
più grande di quanto era stato previsto, cancellando quindi i suoi consigli
sull’austerità nella crisi dell’eurozona.
Adesso
il Fondo monetario ammette che costringere la Grecia e altri paesi indebitati a
ridurre i loro deficit troppo velocemente può essere controproducente… Adesso,
dopo che centinaia di migliaia di posti di lavoro sono stati perduti a causa di
simili “errori di calcolo”. Qui risiede il vero messaggio delle “irrazionali”
proteste popolari in giro per l’Europa: i manifestanti sanno bene di non
sapere, non pretendono di avere risposte veloci e facili, ma ciò che il loro
istinto sta dicendo è comunque vero, ossia che anche chi è al potere non sa.
Oggi in Europa i ciechi guidano i ciechi.