di Sara Farolfi
I cittadini stranieri contribuiscono significativamente all’economia
italiana ma beneficiano relativamente meno, se confrontati con gli italiani, in
termini di spesa pubblica erogata. "I diritti non sono un costo", il
dossier di Lunaria che smonta alcuni dei luoghi comuni più consolidati che
avvolgono il fenomeno migratorio ( RAPPORTOFINALE21NOVEMBRE_ORE1323.pdf)
L’immigrazione
costituisce davvero un “rischio” per la sostenibilità del nostro sistema
economico e di welfare? Parte da questa domanda il rapporto di Lunaria, “I
diritti non sono un costo. Immigrazione, welfare e finanza pubblica”,
presentato il 29 novembre a Roma. Una ricognizione puntuale e ricca di dati che
completa il lavoro iniziato con “Costi disumani” (www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Immigrati-i-costi-del-rifiuto-18606),
e che fornisce un utile strumento per iniziare a sfatare i più granitici luoghi
comuni che avvolgono il fenomeno migratorio nel nostro paese. Perché se è vero
che non sarà un approccio economicista a volgere il segno delle politiche fino
ad oggi adottate, è altrettanto vero che proprio il rapporto tra immigrazione,
sistema economico e welfare costituisce uno degli argomenti più utilizzati per
alimentare l'intolleranza e l'ostilità verso chi proviene da altrove.
Soprattutto in questi tempi di austerity.
I
cittadini stranieri residenti in Italia sono più di 4,3 milioni e
rappresentano il 7,4% dell’intera popolazione residente sul territorio
nazionale. Svolgono per lo più attività lavorative dequalificate e a bassa
specializzazione e percepiscono stipendi mediamente più bassi dei colleghi
italiani. Secondo i dati riferiti al 2011, i contributi previdenziali versati
dai cittadini stranieri ammontano a circa 8,4 miliardi (di cui quasi 3 miliardi
provenienti direttamente dai lavoratori e la restante parte dai datori di
lavoro), pari al 4,2% delle entrate contributive totali. Mentre secondo le
stime prodotte da Unioncamere, e nonostante il fatto che negli ultimi anni la
contrazione del tasso di occupazione abbia toccato anche la componente
straniera del mercato del lavoro, nel 2011 i cittadini stranieri presenti in
Italia hanno contribuito per il 12,8% alla creazione del valore aggiunto,
corrispondente a un dato assoluto pari a 178,5 miliardi di euro (riferibili al
settore del terziario, seguito a stretto giro da costruzioni e agricoltura).
Quanta
parte dunque della nostra pubblica è riferibile ai cittadini stranieri? Le tabelle
del rapporto rispondono chiaramente. Complessivamente, i cittadini stranieri
incidono per il 3,36 percento del totale della spesa pubblica considerata a
fronte però di un'incidenza della loro presenza nettamente superiore, pari al
7,54% della popolazione totale nel 2011. La categoria di spesa sulla quale la
popolazione non italiana incide di più è quella per le carceri dove gli
stranieri rappresentano il 36,14% dei detenuti. Negli altri casi (istruzione,
sanità, disoccupazione, pensioni) la parte di spesa riconducibile ai cittadini
non italiani non supera mai il 15% del totale, mentre la voce di spesa dove si
registra la minore incidenza dei cittadini stranieri è quella per le pensioni:
in questo caso, infatti, soltanto lo 0,52% delle uscite totali ha come
beneficiari cittadini non italiani.
I
cittadini stranieri, conclude il rapporto, apportano quindi un beneficio
significativo all’economia italiana nel suo complesso, dal momento che
contribuiscono in proporzioni maggiori rispetto alla loro presenza numerica
alla produzione di valore aggiunto ma beneficiano relativamente meno in termini
di spesa pubblica erogata in un singolo anno fiscale se confrontati con gli
italiani.
Non
solo: l'intero ammontare delle risorse pubbliche destinate alle politiche di
accoglienza e inclusione sociale dei cittadini stranieri negli anni 2005-2012
è pari a 2 miliardi e 313mila euro (di cui 1,521 miliardi sono stati stanziati
per la sola gestione dell'emergenza Nord Africa). Se si detraggono questi
stanziamenti “straordinari”, l'ammontare degli stanziamenti “ordinari”
destinati alle politiche di accoglienza e inclusione sociale scende a 791
milioni e 708mila euro con una media annuale pari a 123 milioni e 871mila euro.
Una cifra di gran lunga inferiore a quanto viene invece stanziato per le
politiche del rifiuto, pari a oltre 247 milioni di euro. Gli stanziamenti per
le politiche di accoglienza e di inclusione sociale dei migranti rappresentano
lo 0,017 percento della spesa pubblica complessiva rispetto allo 0,034 percento
di incidenza degli stanziamenti destinati alle politiche del rifiuto. Il
rifiuto, oltre ad essere disumano e inefficace, costa troppo. Nei confronti di
un fenomeno ormai più che strutturale, lo Stato investe poco e male. “Guardare
al futuro – conclude il dossier – significa ribaltare questo rapporto e
cambiare approccio”.